Firenze è Rinascimentale
Si è concluso il Festival Flo.re.mus
Si è concluso a Firenze l’11 settembre Flo.re.mus, il festival di musica rinascimentale ideato e organizzato dall’associazione L’Homme Armé, giunto oramai alla sesta edizione, confermando l’altissimo livello di questo che è l’unico festival italiano dedicato interamente al Rinascimento musicale, con le esibizione degli ensemble dei concerti serali (Ensemble Cinquecento, Alta Bellezza, Cappella Pratensis, La fonte musica, L’Homme Armé) e con i concerts à boire pomeridiani, affidati a gruppi giovani ed emergenti (ne ha già parlato sul GdM Paolo Scarnecchia)
Proposte quanto mai variegate, come variegato è il Rinascimento, in cui a prevalere era la polifonia classica (come nel concerto dell’olandese Cappella Pratensis, che il 6 proponeva un monumento come la Messa “Maria Zart” di Obrecht), ma con felici incursioni ed estensioni varie e diverse: il primo Quattrocento di Dufay e Binchois travasato nelle bombarde, ciaramelle e tromba da tirarsi del trio svizzero Alta Bellezza, il tardogotico enigmatico e capriccioso del sorprendente Zachara da Teramo proposto dagli italiani La fonte musica, e molti altri spunti (la danza, il ruolo delle corti, e altro) nei concerts à boire e nelle conferenze di approfondimento che accompagnano il festival.
La conclusione, l’11 settembre nel Cenacolo di Sant’Apollonia, era affidata allo stesso complesso L’Homme Armé diretto dal suo fondatore Fabio Lombardo, con un programma impaginato sul confronto fra uno dei maestri riconosciuti della polifonia classica, Heinrich Isaac, e un meno noto suo contemporaneo, Gaspar von Weerbeke, che muovendo dalle cappelle oltremontane passò poi a Milano, nella cappella degli Sforza, che per volontà del duca Galeazzo Maria Sforza negli anni Settanta del XV secolo arrivò ad essere una delle più cospicue d’Europa, comprendendo cantori-compositori del calibro di Loyset Compère, Alexander Agricola e Josquin Desprez.
Un confronto che è anche fra le corti: quella dei Medici al tempo di Lorenzo il Magnifico di cui Isaac fu il musico prediletto, e per la cui morte “Arrigo il Tedesco” scrisse due lamenti su testo del Poliziano, che aprivano e chiudevano il concerto, Quis dabit pacem populo timenti e Quis dabit capiti meo aquam ?, e quella sforzesca a Milano. Il programma. Intitolato “Liturgia immaginaria di fine secolo fra Firenze e Milano”, si svolgeva infatti impaginando, intorno all’ordinario della messa “Salva nos” di Isaac, una serie di mottetti sacri di Weerbeke, Adonay sanctissime e alcuni mottetti che nella prassi della cappella sforzesca sostituivano momenti dell’ordinario e del proprio della messa, Ave mundi Domina, Salve Virgo virginum, Anima mea liquefacta est, Quem terra pontus, Fit porta Christi pervia, molto singolari per i testi, centoni scritturali espressi peraltro, talvolta, in un latino dalle tinte più umanistiche che ecclesiastiche.
La suggestione d’ascolto nasceva proprio dal confronto fra due città e due corti e forse, e sottolineiamo forse, due modelli musicali benché sviluppatisi dalla stessa matrice: la perfetta e ammaliante fusione polifonica di un grande maestro come Isaac, e la scoperta (almeno è stata tale per chi scrive) di Weerbeke, con quelli che ci sono parsi alcuni tratti più arcaici e “fiammighi” del comporre polifonico alternati ad affondi espressivi di grande efficacia e intensità. E’ stato infatti un concerto in cui questi due aspetti si equilibravano perfettamente, nitore polifonico e calore dell’espressione, grazie all’eccellente direzione di Fabio Lombardo e alla perizia degli esecutori, Elena Bertuzzi, Marta Fumagalli, Stefano Guadagnini, soprani, Massimo Altieri, Paolo Borgonovo, Andrés Montilla-Acurero, contralti, Paolo Fanciullacci, Riccardo Pisani tenori, Davide Benetti, Gabriele Lombardi, bassi.
Successo eccellente e moltissimo pubblico per questo come per gli altri concerti del festival.
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