Ravenna Festival, una festa di note e colori nel segno di Pasolini
Successo per le prime tre tappe, tra diverse dimensioni espressive, della XXXIII edizione di Ravenna Festival
I primi tre appuntamenti che hanno avviato la XXXIII edizione del Ravenna Festival hanno offerto un assaggio dell’ormai tradizionale varietà che connota il cartellone della manifestazione che quest’anno omaggia Pier Paolo Pasolini a cento anni dalla nascita.
Tra il 1 e il 3 giugno, infatti, abbiamo seguito il passo trascinante di Daniel Harding alla guida della Maher Chamber Orchestra, che ha inaugurato il festival riportandolo al Pala De André, la dimensione più intimamente poetica del dialogo tra Giuseppe Gibboni ed Ermanna Montanari in un rinnovato teatro Rasi, per finire immersi tra l’energia e i colori che hanno invaso il teatro Alighieri grazie all’originale rilettura di Uccelli di Aristofane, con circa sessanta adolescenti di Pompei, Torre del Greco e Napoli e le musiche di Ambrogio Sparagna.
Un percorso sinfonico, tra Corghi, Beethoven e Dvořák
È partita proprio dalla figura di Pier Paolo Pasolini e dalla composizione di Azio Corghi … tra la Carne e il Cielo – brano che regala anche il titolo a questa edizione 2022 del festival – la serata inaugurale del primo giugno che ha visto Daniel Harding condurre la Maher Chamber Orchestra attraverso un impaginato che si colloca in quel filone più classico e sinfonico che segna parte del cartellone di questa manifestazione. Una composizione, quella di Corghi, pensata per un originale organico composto da violoncello concertante, voce recitante maschile, soprano, pianoforte e orchestra, eseguita per la prima volta nel novembre del 2015 su commissione del Teatro Verdi di Pordenone per i quarant’anni dalla scomparsa dello stesso Pasolini.
Ispirato al saggio di Giuseppe Magaletta del 1999 titolato Studi sullo stile di Bach di Pier Paolo Pasolini il tessuto musicale ideato dal compositore piemontese si innesta sulla “drammaturgia poetica” tratteggiata da Maddalena Mazzocut-Mis, con testi cantati e recitati che comprendono frammenti di scritti pasoliniani tra prosa e poesia (tra la “carne” e il “cielo”, appunto). In questo quadro Harding si è mosso con efficace equilibrio attraverso le sette parti che, completate da altrettanti intermezzi, compongono l’arco espressivo di un brano che miscela stilemi compositivi più affilati e tesi ad oasi più riflessive e dense, impastando una materia musicale originale con emblematiche citazioni bachiane dove il violoncello solista si rivela testimone privilegiato e nelle quali riecheggia all’inizio e alla fine del discorso quella Siciliana – terzo movimento della Sonata n. 1 in sol minore BWV 1001 di Bach – che lo stesso Pasolini chiamava “Siciliano” riferendosi alle esecuzioni della violinista di origini slovene Pina Kalc, primo tramite del fatale incontro dell’intellettuale italiano con la musica del maestro originario di Eisenach. Un percorso musicale che ha trovato giusta rispondenza anche negli interventi dei solisti Silvia Chiesa al violoncello, Maurizio Baglini al pianoforte, oltre a Valentina Coladonato (soprano) e Sandro Lombardi (voce recitante).
La seconda parte del concerto è stata segnata dal passo trascinante impresso da Harding alla sua lettura dell’Ouverture in fa minore op. 84 Egmont di Ludwig van Beethoven, un’interpretazione al tempo stesso dinamicamente coinvolgente e ricca si sfumature espressive che hanno regalato al pubblico ritornato numeroso a occupare il Pala De André uno dei momenti più riusciti della serata. Significativa premessa, quella beethoveniana, alla più articolata interpretazione della conclusiva Sinfonia n. 7 in re minore op. 70 di Antonín Dvořák, offerta con un’efficace varietà di accenti che ha dato modo di apprezzare i caratteri di una compagine affiatata come quella rappresentata dalla Mahler Chamber Orchestra, in modo particolare tra gli equilibri espressivi del Poco Adagio e la reattività dinamica del Finale Allegro, che ha chiuso la serata tra gli applausi del pubblico.
Un filo poetico, tra Bach e Pasolini
Più intimo il clima della serata successiva, una produzione originale del Ravenna Festival caratterizzata dal segno delicato della drammaturgia e regia di Marco Martinelli, dove nello spazio raccolto del teatro Rasi – struttura riaperta nel febbraio di quest’anno dopo un intervento di ammodernamento – il violino di Giuseppe Gibboni ha dialogato con la voce recitante di Ermanna Montanari, in un intenso intreccio di parole e note che hanno richiamato proprio l’incontro di Pasolini con il suo amato Johann Sebastian Bach, oltre allo sviluppo dell’interesse del poeta e scrittore per la musica in senso lato.
Un doppio binario, quello musicale e quello letterario, nel quale da un lato abbiamo ritrovato la già citata Sonata per violino solo n. 1 in sol minore BWV 1001 (Adagio, Fuga. Allegro, Siciliana, Presto), seguita dalla Partita per violino solo n. 2 in re minore BWV 1004 – la celeberrima Ciaccona – e dalla Partita per violino solo n. 3 in mi maggiore BWV 1006 (Preludio, Loure, Gavotte en rondeau). Tappe musicali restituite da Gibboni attraverso una rara solidità tecnica arricchita da una personale espressività e da un suono che ne evidenzia il carattere interpretativo originale, elementi riconosciuti peraltro anche dal premio Paganini.
Dall’altro lato, quello rappresentato dal versante letterario, il percorso ha ricomposto le tracce dell’evoluzione del rapporto dello stesso Pasolini con la musica di Bach ma non solo, rievocando attraverso la varietà di inflessioni espressa dalla voce di Ermanna Montanari momenti diversi, come quello rappresentato dalle parole tratte da Atti impuri, romanzo giovanile dello scrittore dove il protagonista immagina di scrivere una inusuale Sonata per violino: «invece di Adagio, Allegretto, Con Brio, eccetera, inventerei dei nuovi nomi. Ecco… per esempio: Straziato… Sanguinante… Svenevole… Con Brutalità… Venti tempi brevissimi e con lunghissime pause interne, come quelle che fa l’usignolo…». Un viaggio denso e intimo, chiuso dagli applausi che hanno seguito le note diffuse che Ennio Morricone ha regalato al film Uccellacci e uccellini dello stesso Pasolini, cantate dalla voce di Domenico Modugno.
Un vortice colorato, tra l’energia dei giovani e la musica di Sparagna
Di segno totalmente differente l’appuntamento che abbiamo seguito venerdì 3 giugno al teatro Alighieri, collocato nell’ambito dell’anima più interdisciplinare del Ravenna Festival. Si è trattato di una riscrittura di Uccelli di Aristofane, con la drammaturgia e regia sempre di Marco Martinelli e le musiche dal trascinante profumo popolare che Ambrogio Sparagna ha ideato per questo spettacolo che ha visto impegnati circa sessanta adolescenti provenienti da realtà quali Istituto Liceale “E. Pascal” di Pompei, Istituto Superiore Tecnico-Tecnologico, e Professionale “E. Pantaleo” di Torre del Greco, Dalla Parte dei Bambini, Foqus Fondazione Quartieri Spagnoli, Arrevuoto-Teatro di Napoli.
Una produzione Parco archeologico di Pompei in collaborazione con Ravenna Festival, Teatro delle Albe/Ravenna Teatro, Teatro di Napoli-Teatro Nazionale, Giffoni Film Festival, ERT/Teatro Nazionale che ha restituito un’esplosione di energia ed entusiasmo da parte di questi ragazzi che hanno abitato con impegno fresco e partecipato i movimenti coreografici curati da Rosa Miecchi, distribuiti tra lo spazio e le luci curati da Vincent Longuemare e vivacizzati dai variopinti costumi di Roberta Mattera.
Quale ideale controcanto di una vitalità se volgiamo anche nutrita da una sana e bella volontà di riscatto, la musica ha trovato una brillante restituzione da parte di artisti quali lo stesso Ambrogio Sparagna (organetto), Erasmo Treglia (violino a tromba, ciaramella, flauto armonico), Clara Graziano (organetto, tammorra) e Antonio O’ Lione Matrone (tammorra, grancassa).
Alla fine tanti applausi da parte del pubblico che riempiva il teatro e che ha salutato con particolare calore l’entusiasmo di questi giovani, protagonisti di un’operazione dal profondo valore culturale, inteso nel senso più ampio ed “etico” del termine, che ci piace pensare che sarebbe stato apprezzato – per contenuti, lettura e protagonisti – dallo stesso PPP.
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