Il Gesualdo Project alla IUC
Il ciclo di concerti dedicato ai madrigali del principe di Venosa si è concluso con il quinto e sesto libro nell’impeccabile esecuzione de Les Arts Florissants
Alla fine del 2019, a poche settimane dal primo lockdown, la IUC – Istituzione Universitaria dei Concerti dava inizio al Gesualdo Project, che prevedeva l’esecuzione integrale dei sei libri di madrigali del Principe di Venosa, e ora l’ha portato a termine dribblando con un po’ di fortuna e molta perseveranza i vari lockdown. Quattro libri sono stati eseguiti per intero, mentre dei primi due si è potuta comunque ascoltare un’ampia antologia. Ad eseguirli erano Les Arts Florissants, un ensemble vocale - e all’occorrenza anche strumentale - che è una garanzia nel campo della musica del Sei e Settecento. I sei cantanti si alternavano nell’esecuzione, poiché i madrigali di Carlo Gesualdo sono tutti a cinque voci, sotto la direzione e il coordinamento di uno di loro, il tenore Paul Agnew.
Si sono ora ascoltati gli ultimi due concerti, che hanno offerto l’integrale del quinto e sesto libro di Gesualdo, ben quarantatré madrigali letteralmente meravigliosi, preceduti da alcuni rarissimi – anche più che rarissimi - madrigali di altri autori, che non soltanto erano contemporanei di Gesualdo ma erano stati a stretto contatto con lui. Cominciamo proprio da quest’ultimi madrigalisti, utilissimi a capire meglio Gesualdo, che non era che non era così unico e isolato come viene talvolta descritto ma non disdegnò di guardare ai suoi predecessori, che a loro volta furono da lui influenzati.
Non più di una curiosità erano i due madrigali di Ettore Della Marra, un altro aristocratico napoletano, che chiaramente conosceva e imitava Gesualdo, senza averne nemmeno lontanamente la genialità. Le audaci armonie di Pomponio Nenna devono aver lasciato un’impressione indelebile sul più giovane Gesualdo, che a sua volta avrebbe influenzato con i suoi ultimi madrigali il più anziano maestro. Lo stesso si può dire del franco fiammingo Giovanni (Jean) de Macque, di cui si sono ascoltati due madrigali: bellissimo il primo, antecedente ai madrigali di Gesualdo, e assolutamente splendido il secondo, scritto dopo la pubblicazione dei sei libri di madrigali di Gesualdo, che evidentemente erano stati attentamente letti da Macque. Nel madrigale in questione Macque usa una bellissima poesia di Jacopo Sannazzaro, un elegiaco lamento petrarchesco in morte della donna amata: non è una differenza da poco rispetto a Gesualdo, che a partire dal suo terzo libro mise in musica soltanto brevi testi anonimi di scarsa qualità, non poco manierati nelle loro atmosfere sempre luttuose. Il primo madrigale del quinto libro è totalmente intessuto su termini quali “piango, “sospiro”, “misero”, “dolore”, “piangi”, “pianto”, “affanni”, “dolor”; “morire” nelle sue varie forme ricorre ben quattro volte nei soli cinque versi del secondo madrigale. E così seguitando.
Le tragiche vicende biografiche di Gesualdo potrebbero aver influito sulla scelta di tali testi, ma ora l’importante è che queste cupissime atmosfere dolenti e funeree - che ricordano l’ossessione per scheletri e consimili simboli della morte nelle arti visive del Seicento - sono l’humus ideale per lo stile di Gesualdo, che stupì per la sua modernità quando venne riscoperto nell’Ottocento. Quei deboli versi sono infatti riscattati da “gli intervalli, gli accordi, le armonie, le linee melodiche, le dissonanze. Un flusso sonoro di inaudita intensità e suggestione […] dai forti, estremi contrasti fonici, timbrici e dinamici”, come scrive Franco Piperno nel programma di sala.
Non manca nel quinto libro qualche sporadico madrigale più sereno, in cui si avverte un barlume di luce e un soffio di vita, e allora lo stile diventa più diatonico e consonante. Il numero dei madrigali di questo tipo aumenta nel sesto libro, dove troviamo due madrigali perfino scherzosi, come “Ardita zanzaretta” e “Volan quasi farfalle”, ed altri felicemente gioiosi, come “Al mio gioir il ciel si fa sereno”. E l’ultimo madrigale parla di “lascivetti Amori” e conclude “della gioia mia gioisce il mondo”. E non sono madrigali meno interessanti degli altri, tutt’altro. A conferma che Gesualdo non si esaurisce affatto nella parola “morte” e dintorni per quel che riguarda i testi né nel cromatismo per quel che riguarda la musica.
Les Arts Florissants hanno affrontato queste due maratone concertistiche di quasi trenta madrigali l’una con una precisione totale (o quasi totale, ma non si poteva pretendere di più), che dava una trasparenza assoluta ad ogni linea polifonica. La pronuncia era chiarissima e permetteva di seguire il testo senza bisogno di leggerlo sul programma di sala, ma era anche un po’ meccanica, come se non sempre i cantanti capissero a fondo le parole che cantavano. Nel quinto libro era soprattutto il discorso puramente musicale ad emergere in primo piano, con l’originalità delle linee melodiche, la modernità dei cromatismi e delle dissonane, la sorpresa delle pause e delle cadenze. Nel sesto libro la loro interpretazione diveniva meno astratta, più animata e attenta a valorizzare gli affetti e le passioni contenute nei testi, qui non uniformemente mortiferi come nel quinto libro: d’altronde la morte non è un affetto né una passione né un moto dell’anima (termini grosso modo sinonimi usati nei diversi periodi storici) ma al contrario è la fine e la negazione di tutto, qualcosa di inesprimibile.
Questi due concerti sono “albo signanda lapillo” per la bellezza della musica e la qualità dell’esecuzione ma anche perché i concerti di madrigali sono ancora una rarità al di fuori dei pochi festival di musica “antica”. Il pubblico ha applaudito con un calore che avrebbe meritato la ricompensa di un bis, se non fosse stato fuori luogo alla fine di concerti così perfetti in sé. Noi invece lanciamo un invito a programmare più concerti madrigalistici, esplorando un repertorio enorme e in gran parte sconosciuto: oltre a Gesualdo - e Monteverdi - ci sono Arcadelt, Verdelot, Lasso, Marenzio, de Wert, Macque e molti altri musicisti del Rinascimento, oggi trascurati, sebbene siano l’equivalente di Raffaello, Pontormo, Bronzino, Tiziano, Veronese e Tintoretto in pittura.
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