Le seduzioni musicali della bella Frine
In uscita il libro-CD Phryné di Camille Saint-Saëns nella collana “Opéra français” del Palazzetto Bru-Zane
A qualche appassionato di cinema, il nome di Frine richiamerà alla memoria l’episodio, tratto da un racconto di Edoardo Scarfoglio, di un vecchio film di Alessandro Blasetti, Altri tempi, in cui Vittorio De Sica nei panni di un tronfio avvocato d’ufficio difendeva la fedifraga suocericida Maria Antonia, una splendida venticinquenne Gina Lollobrigida, con un’ispirata arringa che richiama il processo a Frine nell’Atene del IV secolo avanti Cristo e l’assoluzione in ragione della sua bellezza. “Non è questa nostra legge che prevede siano assolti i minorati psichici. Ebbene, perché non dovrebbe essere assolta una maggiorata fisica?”, discetta con argomenti oggi poco politicamente corretti ma con successo l’avvocato De Sica, nonostante tutto parli della colpevolezza di quella donna assai avvenente. Ad altri invece quel nome evocherà qualche ricordo di scuola quando il professore di storia dell’arte ne parlava quale modella scelta di Prassitele, anche sua amante, per la sua Afrodite cnidia. Meno nota è probabilmente l’opéra comique in due atti con i versi di Lucien Augé de Lassus e la musica di Camille Saint-Saëns, Phyrné, della quale una nuova registrazione è in uscita il prossimo 25 febbraio nella collana “Opéra français” edita dal Palazzetto Bru Zane, che così aggiunge un quinto titolo operistico a quelli già usciti del compositore francese, fresco di celebrazioni per il centenario della scomparsa nel 2021.
Bella come Afrodite, Frine, “l’etèra di gran lunga più celebre” secondo il commediografo Posidippo, grazie alla sua leggendaria bellezza fu assolta nel processo per empietà, si tramanda, proprio grazie a un colpo di teatro del suo avvocato difensore, che al culmine della sua arringa la denudò davanti agli eliasti chiamati a giudicarla. Una scena che il pittore Jean-Léon Gerôme immortalò, non senza una punta di malizia, nella sua tela Phyrné devant l’Aréophage del 1861. Più di uno spettatore doveva averla in mente quella tela quando l’opéra comique in due atti con i versi di Lucien Augé de Lassus e la musica di Camille Saint-Saëns fece il suo debutto sul palcoscenico del Théâtre national de l’Opéra Comique di Parigi il 14 maggio 1893, lo stesso anno del Falstaff di Verdi, della Manon Lescaut di Puccini, de La damnation de Faust di Berlioz, ma anche del debutto parigino all’Opéra della wagneriana Walküre, evento questo che fece esclamare “ai musicisti francesi non resta che cadere con grazia” ad un entusiasta Ernest Reyer, l’autore di Sigurd, saga nibelungica in salsa francese. Piuttosto impermeabile al richiamo dei miti nordici esercitato su molti colleghi connazionali, Saint-Saëns rimase attaccato all’amato mondo classico trattando comunque il soggetto con una certa libertà e un gusto molto intonato allo spirito del suo tempo. L’impresa fu baciata da un successo paragonabile al capolavoro del compositore, Samson et Dalila, ma di assai più breve durata, scomparendo pressoché del tutto dai palcoscenici anche francesi nel secondo decennio del Novecento.
Se nella stampa dell’epoca vi fu chi accusò i due autori dell’opera di aver ingannato il pubblico con il soggetto del lavoro, evidentemente contravvenendo alle attese di un qualche scandalo, vi fu anche chi ne lodò la “lodevole discrezione” (Le Figaro). In effetti, la trama di questo lavoro evita ogni possibile spunto scabroso e punta decisamente sulla commedia, che nella beffa di una coppia di giovani amanti ai danni di un vecchio facoltoso, rimanda a una ricca produzione comica che annovera il Don Pasquale di Donizetti o La donna silenziosa di Richard Strauss fra i titoli più noti.
Si racconta infatti di un severo magistrato nell’antica Atene, Dicéphile, che, destinatario dell’onore di una colonna statuaria, si pavoneggia in modo piuttosto ridicolo delle gioie dell'immortalità rendendosi oggetto di scherno da parte di Phryné e dei numerosi ammiratori della bellissima donna. Nicias, nipote dissoluto e spendaccione di Dicéphile, si rivolge allo zio per chiedere un prestito ma in tutta risposta riceve dallo zio la minaccia di una denuncia per debiti. Liberatosi dei gendarmi venuti ad arrestarlo, Nicias accetta l’offerta di Phryné di nascondersi nella sua casa ma non prima di aver oltraggiato il busto marmoreo dello zio macchiandolo con il resto del vino contenuto in un otre, che sistema come un cappello sulla statua. Tornato di notte per godere della visione del proprio busto, Dicéphile trasalisce e, ignorando che il nipote si è sottratto all’arresto, minaccia vendetta su Phryné ritenuta responsabile dell’offesa alla sua dignità. Nel frattempo, Nicias e Phryné si scambiano effusioni amorose e omaggiano la dea Afrodite, quando l’ancella Lampito annuncia l’arrivo di Dicéphile furioso. Nicias si nasconde mentre Phyrné invita l’anziano magistrato ad aiutarla nella sua toilette mattutina. Poco a poco, il misogino Dicéphile abbandona le difese e cede alle false lusinghe della donna. Il colpo fatale Phryné lo assesta mostrando all’uomo la statua di Afrodite con le sue sembianze. Caduto nell’equivoco, Dicéphile è completamente soggiogato dalla donna, ai piedi della quale promette di mettere giustizia e legge. Ricompare a sorpresa Nicias, che ricatta l’incauto zio con la minaccia di rivelare agli altri magistrati dell’Aeropago la sua scarsa moralità. A Dicéphile non resta che piegarsi e consegnare il denaro al nipote, mentre il coro esalta, beffardo, le virtù dell’anziano magistrato.
La registrazione, la prima con i recitativi musicati da André Messager nel 1896, è stata realizzata fra il 31 marzo e il 2 aprile all’Opéra de Rouen Normandie, che mette a disposizione l’Orchestra del teatro diretta, come il coro del Concert Spirituel, da Hervé Niquet, barocchista di razza ma spesso presente nei recuperi discografici del repertorio francese ottocentesco promossi dal Palazzetto Bru Zane. Più che da operetta o opera buffa, il clima è quello della commedia sentimentale. La stessa protagonista, che al debutto parigino fu la celebre Sybil Sanderson (creatrice anche delle eroine eponime massenetiane di Esclarmonde e Thaïs), si impone più sull’idillio sentimentale e l’invocazione a Afrodite del secondo atto più che nei civettuoli virtuosismi del finale del primo atto. Caratteristiche che la luminosa vocalità del soprano Florie Valiquette calza a perfezione. Come controparti maschili si trovano il tenore Cyrille Dubois, che allo sfrontato Nicias regala una grande eleganza di fraseggio, e il baritono Thomas Dolié, che evita la facile caricatura per il suo Dicéphile anche lui reso con apprezzabile eleganza. Completano con onore la locandina la Lampito di Anaïs Constans, il Cynalopex di François Rougier e l’araldo Patrick Bolleire.
La registrazione di elevata qualità, come da marchio di fabbrica della collana, colma l’ennesima lacuna nella discografia del Saint-Saëns operista da sempre completamente sbilanciata su Samson et Dalila. All’ascolto si aggiungono dei contenuti di approfondimento di elevato interesse nel volume che accompagna il disco, apprezzabili soprattutto per titoli oggi poco frequentati.