Il Bach intimo di Fred Thomas
Il pianista Fred Thomas, al debutto per le New Series ECM, alle prese con l'Orgelbüchlein di Bach
“All’Altissimo Iddio solo per onorarlo e al prossimo affinché si istruisca.” Queste alcune delle parole di accompagnamento di Johann Sebastian Bach al suo Orgelbüchlein, raccolta di 45 Preludi Corali per organo – probabilmente introduzioni all’effettivo corale che sarebbe poi stato cantato nel corso della funzione, delle quali erano stati maestri, prima di Bach, Johann Pachelbel e Dietrich Buxtehude, che un giovane Bach ebbe modo di ascoltare poco prima della sua morte, nel corso di un avventuroso viaggio studio a Lubecca – scritta tra il 1708 e il 1717 (periodo a partire dal quale il “nostro” comincerà a comporre le tante sospirate cantate per il servizio liturgico). All’epoca Bach era ancora un “semplice” organista, e poi direttore d’orchestra o maestro di concerti (di quello stile concertante che allora stava ancora perfezionando, anche a partire dallo studio ammirato delle opere di compositori italiani come Vivaldi, Corelli e Albinoni), presso la Corte Ducale di Weimar.
Perché, in effetti, il “piccolo libretto” altro non doveva essere che una sorta di “manuale di istruzioni” ad uso di un organista principiante, affinché imparasse a sviluppare in tutte le maniere possibili un corale, arrangiato a partire da melodie già inscritte nella tradizione liturgica della Chiesa Luterana.
Ma il genio creativo, per di più se sostenuto dalla sempre ispirata seria artigiana operosità bachiana (il che non significa che Bach fosse serioso, né tanto meno austero), non può che rimanere tale anche quando “semplicemente” insegna, elabora a titolo dimostrativo. Ed ecco che il “piccolo manuale di istruzioni” è venuto a configurarsi come un’ulteriore vera e propria opera d’arte, certo meno conosciuta rispetto ad altre, dello straordinario musicista compositore, originario della Turingia.
Il pianista Fred Thomas, classe ’85, qui al debutto discografico da leader per le New Series ECM, è da qualche tempo uno dei polistrumentisti e compositori/arrangiatori/produttori più ricercati di Londra, noto per l’ampiezza degli stili musicali che sa magistralmente trattare, e per la specializzazione in creative re-interpretazioni di (per l’appunto) musiche di J.S. Bach.
Il suo ricco composito percorso formativo è presto riassumibile. Dopo aver iniziato a suonare il pianoforte classico all’età di cinque anni, Thomas ha continuato a studiare pianoforte jazz e composizione presso la Royal Academy of Music, dove ha sviluppato un interesse per le culture ritmiche dell’Africa e dell’America Latina, la libera improvvisazione, la classica contemporanea, il contrappunto improvvisato, e non da ultimo la musica barocca, in specie, come detto, quella di J.S. Bach. Tra le svariate attività, Thomas lavora regolarmente come direttore musicale con il National Theatre e lo storico Globe di Shakespeare, ed insegna al Trinity Laban Conservatoire. Tra i molti artisti con i quali ha avuto modo di collaborare, qui segnaliamo volentieri, giusto per sottolinearne la poliedricità, Brian Eno, Yo-Yo Ma, Jordi Savall, Meredith Monk, Ethan Iverson, Larry Grenadier, Kadialy Kouyate e Olivia Chaney.
In questo mirabile Three or One, a quanto pare primo episodio di una trilogia, abbiamo modo di ascoltarlo alle prese con sue personali asciugate moderne trascrizioni per trio e pianoforte di 24 composizioni bachiane, prevalentemente estratte dal soprannominato Orgelbüchlein, magnificamente eseguite in compagnia di due giovani musiciste contemporanee, la violoncellista britannica Lucy Railton e la violinista kazaka Aisha Orazbayeva.
Thomas riesce a suonare perfettamente, o meglio ancora intimamente, bachiano, pur ovviamente svincolando la musica dell’inarrivabile compositore dalla sua storica funzione sacra, risultando al contempo vivacemente attuale, eclettico, contemporaneo, anche grazie al gusto, che di certo Bach non avrebbe disprezzato, per i passaggi estemporanei, imprevedibili, ovverosia per quella cara estrosa improvvisazione (purtroppo o per fortuna) impossibile da fissare sulla pagina.
Per contro (o forse contrasto), i movimenti lenti, ricercati, misurati, filamentosamente trasfigurati, novecentescamente “metaclassici”, anche se suggestivamente rievocanti lo stile esecutivo del tempo, sostenuti dalle due talentuose archiste, sembrano invece soffrire di un’eccessiva staticità (o di quella che potremmo definire una scarsa “panoramicità” armonica), che comunque non intacca minimamente la magia e l’incanto di quest’essenziale riflessiva realizzazione. E dire che all’appello, nel complesso “gioco” contrappuntistico, al netto dell’intrinseca “polivocalità” della parte pianistica, mancherebbe almeno una quarta “voce”.
Una registrazione preziosa, la loro, che, pur non snaturando la musica bachiana, restituisce quest’immaginifica (dimenticata?) raccolta di preludi sotto una sorta di obliqua, fresca, aggiornata, innovativa luce.