Field Music, pop senza tempo
Flat White Moon è il nono album dei Field Music, come sempre all'incrocio tra prog e new wave
Se ci sono due generi musicali che sono sempre stati agli antipodi sono il progressive rock e il post punk, o new wave che dir si voglia. Perfino il punk ha avuto una sua diramazione prog (nelle declinazioni evolute di certo hard core americano, si pensi ai Minutemen per esempio), mentre i toni asciutti e immediati della new wave hanno sempre avuto difficoltà a legare con le sofisticazioni (a volte sconfinanti nella prolissità) del prog.
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Ma a noi piace trovare le eccezioni, e tra queste i Field Music sono sicuramente da annoverare tra le più significative. Il gruppo nasce nel 2004 a Sunderland attorno al nucleo formato dai due fratelli Brewis, Peter e David, entrambi cantanti e polistrumentisti; il primo album esce nel 2005 e da allora ne sono stati pubblicati altri otto, senza contare le band parallele (in particolare School Of Language e The Week That Was). Attenzione: la caratteristica fondamentale dei Field Music non è quella di alternare album con matrici di volta in volta differenti; in quello molti artisti indie hanno avuto deviazioni occasionali dal loro percorso, e se parliamo di prog basta pensare a certi dischi di Jim O’Rourke o anche al recentissimo Course In Fable di Ryley Walker. No, l’approccio dei fratelli Brewis è diverso – e per quello particolarmente originale: la loro forma canzone attinge indifferentemente dal pop sinfonico come dalla new wave, a volte addirittura nello stesso pezzo.
Sui nove dischi finora pubblicati, i Field Music non hanno mai fatto passi falsi, toccando alcune vette di eccellenza assoluta in particolare in (Measure) (2009) e in Commontime (2016). Da pochi giorni è invece disponibile Flat White Moon – esce su Memphis Industries, come tutti i precedenti. Anche se probabilmente non lo riterremo un caposaldo della produzione del gruppo, si tratta di un album di ottimo livello e va benissimo come biglietto da visita per capire il loro stile caratteristico. Prendete ad esempio canzoni come “Orion From The Street” o “Not When You’re In Love”: se da una parte i riferimenti allo stile della prog song sono evidenti (il loop tastieristico in odore di Genesis della prima, le corali stratificate alla Gentle Giant della seconda) è anche vero che il beat spezzato e rutilante è di tutt’altra impronta.
La stessa dei riff aggressivi di “Out Of The Frame” o “I’m The One Who Wants To Be With You”, o della base electro di “No Pressure”, pezzi in cui i riferimenti più ovvi sono quelli al pop sbilenco degli XTC – un’influenza che risulta evidente a molti, e che tuttavia i Brewis non hanno mai riconosciuto. È un album eclettico e brillante, con numeri di rock chitarristico alla Kinks (“Meat To Be”), episodi di folk delicato (“When You Last Heard From Linda”), ballate docili ma sensuali (“The Curtained Room”), performance vocali che fan quasi pensare a Prince (“You Get Better”).
C’è da scommettere che in pochi si ricorderanno di Flat White Moon nelle playlist di fine anno; ma chi conosce e apprezza i Field Music terrà sempre un posticino per loro e per la loro musica senza tempo.