Bad Bunny, Porto Rico oltre gli stereotipi

Bad Bunny riflette sui danni del colonialismo e sulla crisi della sua patria, a ritmo di reguetón e salsa

Bad Bunny
Disco
pop
Bad Bunny
DeBÍ TiRAR MáS FOToS
Rimas
2025

DeBÍ TiRAR MáS FOToS (sì, è scritto proprio così, infatti mi perdonerete se nel corso dell’articolo diventerà DTMF), il sesto album di Benito Antonio Martinez Ocasio – in arte Bad Bunny, al momento la principale voce della musica latina – non mette in mostra soltanto i ritmi reggaeton, dembow e latin trap che lo hanno reso famoso a livello globale ma anche quelli tipici della sua terra di origine, Porto Rico, per una riflessione politica sui danni del neocolonialismo e sulla necessità dell’autonomia dagli Stati Uniti.

17 canzoni (a mio modo di vedere 2 o 3 di meno avrebbero reso il disco più compatto) per ricordarci una volta di più che la tradizione non è mai lettera morta; i salseros degli anni Settanta erano per lo più populisti di sinistra fedeli alla longue durée dei ritmi dell’Africa Occidentale e della bomba e della plena, ritmi sviluppatisi a Porto Rico, ma furono anche quelli degli esperimenti col jazz e la psichedelia, mettendo insieme un arsenale di tamburi fatti artigianalmente per successi da pista da ballo che parlavano della liberazione del Terzo Mondo e del Black Power. 

Gli ultimi giganti di quella generazione sono scesi dal palco e ora è il turno di altri artisti di salvaguardare quella musica e farla risuonare nel presente. «Sto aspettando che la salsa abbia la sua rinascita», ha detto Bad Bunny a Benicio del Toro in un articolo dello scorso anno comparso su Interview Magazine, «che qualche giovane la trasformi in qualcosa di moderno e fico». 

Ma come la scrittrice premio Nobel Toni Morrison era solita consigliare, i veri artisti devono creare quell’arte che desiderano che altri creino. Allora ecco che quello che ormai è una superstar mondiale mette in circolazione il suo sesto album, una raccolta di ritmi gioiosi e inni entusiasmanti. Usando con abilità musica del passato e del presente per accendere un riflettore globale sui valori ma anche sui problemi di Porto Rico, Bad Bunny dimostra che nei momenti più complicati e dolorosi non c’è un potere più grande della musica en resistencia.

DTMF, e lo si capisce anche solo dal titolo – avrei dovuto scattare più foto – è destinato a catturare una testimonianza storica, sia personale sia politica, della patria di Benito, documentando che la testimonianza arriva con le gioie e i dispiaceri nel veder cambiare non solo sé stesso ma anche il luogo che lui ama maggiormente, e non sempre in meglio.

Nel brano "TURiSTA" Bad (nel caso specifico Sad) Bunny incanala il proprio strazio nell’analogia con gli impatti dell’industria del turismo sull’isola, un messaggio particolarmente urgente dal momento che nuovi, lussuosi progetti di sviluppo in aree protette sono stimolati da incentivi fiscali per investitori stranieri, soprattutto statunitensi. Cos’è ammirevole è che l’ascoltatore crede veramente alla sua preoccupazione, capisce che non sta solo cercando di guadagnare dei punti coi suoi compatrioti. 

L’argomento ritorna in “LO QUE LE PASÓ A HAWAii”, canzone in cui Bad Bunny si rammarica per la rimozione culturale e le disparità sociali causate nelle isole Hawaii dalle pressioni neocoloniali, condividendo le sue speranze che lo stesso processo non accada anche nella sua amata Porto Rico. 

Sull’argomento consiglio la visione del bel film del 2011 Paradiso amaro del regista Alexander Payne e interpretato da George Clooney, una storia che ci ricorda che dietro gli hotel scintillanti per turisti stranieri esiste la vita quotidiana, fatta di abitazioni povere e vicende personali difficili, dove non splende il sole, anzi addirittura piove.

Bad Bunny ha scelto di far accompagnare l’album da un video di 13 minuti (16 milioni di visualizzazioni in due settimane…) sulla nostalgia del passato, specialmente quando viene paragonato ai cambiamenti apportati ai rapporti interpersonali dalla presenza delle grandi aziende statunitensi. 

Il tempo fa il suo lavoro e la ricostruzione della memoria e la creazione di nuove esperienze plasmeranno nuove frontiere. DTMF ci dice che per non dimenticare non è necessario ricordare, per non dimenticare è necessario vivere.

Se ci fermiamo alla superficie, questo disco parla della vita personale dell’artista, della fine recente di una sua relazione amorosa, della gente intorno a lui e di come riesce ad affrontare le emozioni. A una prima, rapida occhiata sembra essere una riflessione sul suo passato, sui suoi ricordi e su cosa significhino per lui adesso che la sua vita è indubbiamente cambiata, ma in realtà questa è solo una piccola parte dell’album.

Certo, c’è il Bad Bunny a cui siamo abituati, quello che sa come creare fantastici successi pronti per i club, e lui non lo dimentica. Ma quest’album è sicuramente qualcosa d’altro, qualcosa di più: è una lettera onesta e profondamente emotiva alla sua terra d’origine. Il titolo non è solamente sui momenti perduti con un’ex o sui rimpianti personali, è anche su quanto avrebbe voluto catturare maggiormente della sua casa, della sua bellezza e della sua essenza, perché nella vita tutto cambia e poi svanisce.

La title track, “DTMF”, cattura alla perfezione il tono riflessivo e nostalgico del disco; tra le altre cose la canzone ha già dato vita a un trend su TikTok, per una volta non irritante, in cui gli utilizzatori che condividono foto e video dei loro ricordi in tema con le parole della canzone. 

L’abilità di Benito di trasformare un semplice ma universale sentimento in qualcosa che entra in sintonia con la gente è un grande esempio della connessione che è riuscito a creare con il suo pubblico.

 Dal punto di vista tematico l’album si presenta a noi ascoltatori con una doppia frattura: da un lato è una frattura amorosa e dall’altro una frattura con la sua terra d’origine. Con quest’album BB s’immerge nelle questioni della propria autenticità e dell’identità di Porto Rico, senza presentarsi come un grande patriota o facendo la morale a qualcuno: semplicemente ci dice di essere un portoricano, orgoglioso di esserlo e desideroso che il proprio Paese cresca, prosperi e conservi la propria identità senza finire triturato dal globalismo o solo un altro ingranaggio all’interno di un macchinario più grande.

Per rispecchiare tutto ciò, Benito ritorna ai suoi generi originari: reggaeton (quello jíbaro, unione tra la musica programmata in maniera patinata per il pubblico metropolitano e i suoni più bucolici), Latin pop, e le influenze elettroniche e synth-pop per cui lo conosciamo, ma questa volta, come già detto, incorpora con abilità la musica folk portoricana -plena e bomba – oltre alla salsa. Il risultato suona crudo e autentico. Allo stesso tempo, l’album non abbandona l’energia e il carisma che hanno reso Bad Bunny quello che è: tra le 17 canzoni ogni ascoltatore troverà un nuovo inno dance favorito, il mio per esempio è “VOY A LLeVARTE PA PR”, che vi propongo in questo video che cattura la sua partecipazione al Tonight Show di Jimmy Fallon. 

 Questo disco si fa percepire come un culmine per Bad Bunny – un manifesto potente e profondamente personale che “impacchetta” il suo 2024 incredibilmente attivo. Oltre alla musica, Benito è stato politicamente esplicito, non solo nei confronti degli Stati Uniti ma anche all’interno di Porto Rico: la sua influenza ha dato una bella mano al candidato indipendente che perorava la causa dell’indipendenza, arrivato secondo in maniera alquanto insperata durante le ultime elezioni .

«Porto Rico è un’isola galleggiante di spazzatura» – il comico Tony Hinchcliffe sul palco della Convention del Partito Repubblicano statunitense

Bad Bunny è diventato un indispensabile portabandiera per Porto Rico, verosimilmente il suo export culturale di maggior successo da molti anni a questa parte (almeno dai tempi del giocatore di baseball Roberto Clemente, però stiamo parlando di sport). E lui sta usando la sua posizione per ricordare a noi tutti che per essere felici dobbiamo essere orgogliosi, forti e liberi, resistendo alle trappole del globalismo.

Questo è un album sul coraggio di alzarsi in piedi per ciò in cui crediamo – che sia il nostro amore, la nostra casa o i nostri valori -, sul rispetto e la difesa delle identità individuali nel XXI secolo, quando ogni cosa sembra essere in vendita.

P.S. Chiudo con il video (più di 27 milioni di visualizzazioni…) di quella che probabilmente è la mia canzone preferita, “BAILE INoLVIDABLE”: «La vita è una festa che un giorno finirà e tu eri il mio ballo indimenticabile, no, non ti posso dimenticare, no, non ti posso cancellare, mi hai insegnato ad amare, mi hai insegnato a ballare». 

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