Perfume Genius all’esame di maturità
Glory è il nuovo album dello statunitense Mike Hadreas, a un passo dal mainstream

All’età di 43 anni lo statunitense Michael Alden Hadreas ha realizzato quello che per convenzione potremmo considerare l’album della maturità, il settimo attribuito al suo alter ego artistico Perfume Genius, chiamato così in onore del celebre romanzo di Patrick Süskind.
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All’ascolto suona quasi regolare, rispetto agli immediati antecedenti: non ostenta la grandeur queer di Set My Heart on Fire Immediately (2020), né l’eclettismo vagamente “avant-garde” di Ugly Season (2022). A descrivere la condizione attuale dell’autore è forse il brano che dà titolo alla raccolta e la conclude, dove il Genio del Profumo canta: “Slegato, in giro randagio, ospite del corpo, in gloria silenziosa, trova ora riparo”. Una sorta di pacificazione con la giovinezza tormentata da episodi di bullismo e il successivo periodo di eccessi compiuti per reazione, di cui si percepisce qui l’eco nella rarefatta ambientazione gotica di “Hanging Out”: “Sverso nella polvere, gli mastico la faccia come un maiale”.
Quelle cicatrici si stanno rimarginando, benché affiorino tuttora sintomi d’inquietudine: con pathos sommesso “In a Row” la proietta metaforicamente nella figura dell’ostaggio di un rapimento (“Tracciando ogni singolo segno sul muro del seminterrato, invocando soccorso da ogni angolo, finché arriva qualcuno”). In maniera più esplicita, Hadreas s’interroga sul significato dello status conseguito nell’iniziale “It’s a Mirror”: “Che cosa ottengo dall’essere affermato? Corro ancora a nascondermi quando c’è qualcuno alla porta”, avvistando “sciami di locuste ovunque tu vada”.
L’insolita postura folk rock della canzone dichiara la genesi del disco, frutto di un lavoro collettivo in studio con la band guidata dal compagno Alan Wyffels (la loro relazione è celebrata in “Me & Angel”, romantica ballata scandita dal pianoforte), avendo al mixer il produttore di fiducia Blake Mills, del quale si nota il tocco raffinato nell’orchestrazione di “Clean Heart”, ingentilita dai ghirigori di un carillon.
Evidente la qualità di scrittura, in quel caso e poco dopo nell’accorata elegia sulla perdita intonata in “Left for Tomorrow” (“S’illuminava nel buio? C’era un coro che cantava? Riesci a sentirmi? È solo il tuo nome che si ripete”), oppure nell’esile trama ricamata in falsetto durante “Capezio”, traccia intestata al marchio di abbigliamento per la danza designato dal cognome del calzolaio italiano che avviò l’impresa oltreoceano a fine Ottocento.
La sensibilità emotiva del protagonista dà forma a scorci di poetica visionaria: la solennità lirica di “Full On” si condensa nell’immagine surreale dei “quarterback piangenti, distesi sull’erba”, mentre in “No Front Teeth” la vulnerabilità di chi è sdentato diventa pretesto per un duetto con la cantautrice neozelandese Aldous Harding, incaricata nel ritornello di mostrare “la luce spezzarsi sulle ali di una colomba”, prima che la chitarra elettrica s’impenni verso un inopinato orizzonte “classic rock”.
A conti fatti, dunque, Glory indica il punto di massima prossimità al mainstream raggiunto da Perfume Genius: ne è conferma implicita “Dion”, che rende omaggio in chiave cameristica proprio alla diva Celine (“La adoro!”, ammise tempo fa lui su Twitter) al calare del sipario.