Japanese Breakfast, confessioni di una brunetta malinconica

For Melancholy Brunettes (and Sad Women) è il nuovo album di Michelle Zauner

Japanese Breakfast
Disco
pop
Japanese Breakfast
For Melancholy Brunettes (and Sad Women)
Dead Oceans
2025

Nel 2021 Michelle Zauner è diventata un caso: non tanto grazie a Jubilee, terzo album firmato Japanese Breakfast, che pure l’ha proiettata nell’orbita dei Grammy Awards con un paio di nomination, quanto per Crying in H Mart, racconto autobiografico scritto da esordiente e tramutato in best seller (a oggi siamo alla trentanovesima ristampa). 

Un successo da cui è stata sopraffatta: “Mi sembrava di aver ottenuto tutto ciò che volevo, ma ero spaventata e infelice”, ha confessato di recente a “Marie Claire”. A tal punto da scomodare il mito di Icaro: “Stavo volando troppo vicino al sole e ho capito che se avessi continuato sarei morta”. Si è presa allora una pausa, rifugiandosi nella nativa Seul. 

Ecco dunque le premesse del disco nuovo, For Melancholy Brunettes (and Sad Women), meno luminoso ed estroverso del precedente. “Sognando silenziosamente giorni più lenti”, canta sulla trama di un arpeggio cristallino all’inizio di “Here Is Someone”, il brano di apertura. Le “brunette malinconiche” e le “donne tristi” che danno titolo alla raccolta entrano in scena nel seguente “Orlando in Love”, sontuosa ballata tappezzata di archi dove si reincarna il focoso eroe dell’omonimo poema cavalleresco lasciato incompiuto da Matteo Maria Boiardo al tramonto del XV secolo: “Gli andò incontro dall’acqua, come Venere da una conchiglia, cantando il suo nome con tutta la dolcezza di una madre, lasciandolo senza fiato e poi annegato”.

È uno dei riferimenti letterari che punteggiano l’opera: esplicito, in chiusura, quello a La montagna incantata di Thomas Mann, ad esempio. Su un’essenziale intelaiatura folk decorata da un’orchestrazione sobria, nella quale spicca il borbottio di un violoncello, in “Magic Mountain” il redivivo Hans Carstorp parla per bocca dell’autrice, prima in tono speranzoso (“Quando la febbre si sarà placata, tornerò in pianura, un uomo nuovo”) e viceversa rassegnato all’epilogo (“Seppelliscimi accanto a te, all’ombra della mia montagna”). 

I personaggi maschili che popolano questa decina di canzoni non sono edificanti, in verità: il marito infedele nel delizioso numero d’impronta indie rock “Honey Water” (“Insaziabile per un nettare che bevi fino a stroncarti il cuore”), il Giove predatore rievocato in forma contemporanea nell’atmosfera brumosa di “Leda” (“Si vede che sei ubriaco, zigzagando da qualche parte a Creta, nodo gordiano sfilacciato dai giorni, ho provato a troncarlo ma in un certo modo l’ho stretto”) e gli aggressivi “celibi involontari” che compaiono fra le pieghe del disinvolto andamento pop di “Mega Circuit” (“Sfrecciando sul mega circuito, spruzzando fango con i quad, tracciando sangue con i tuoi eunuchi incels). 

Registrato nel leggendario studio Sound City di Los Angeles e prodotto dal re Mida alternativo Blake Mills, l’album offre un menu musicale che svaria dalla fragranza Fleetwood Mac di “Picture Window” (“Tutti i miei fantasmi sono reali”, il passaggio chiave) all’agrodolce umore Laurel Canyon di “Winter in L.A.” (“Vorrei che tu avessi una donna più felice, una che possa uscire di casa e apprezzare il sole”, auspica amaramente la protagonista), passando attraverso il country noir di “Men in Bars”, in cui la ascoltiamo duettare con Jeff “Lebowski” Bridges

Da cantautrice emotiva qual è, Michelle Zauner – 36 anni la settimana prossima – ha confezionato un disco squisito e profondo, ammantato da un’aura di romanticismo espressa in copertina da una foto che la raffigura in posa analoga a quella della “donna stanca” ritratta a fine Ottocento dal pittore catalano Ramón Casas.

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