La fiaba in chiaroscuro di Bon Iver

Nel nuovo album SABLE, fABLE Justin Vernon / Bon Iver chiude il cerchio

Bon Iver
Disco
pop
Bon Iver
SABLE, fABLE
Jagjaguwar
2025

In SABLE, fABLE il 43enne Justin Vernon indossa nuovamente i panni di Bon Iver, con cui si è affermato – quasi suo malgrado – nel mainstream, come certificato dal Grammy Award conquistato ai tempi del secondo album e confermato di recente dalle apparizioni al fianco delle dive pop Taylor Swift e Charli XCX, ma lo fa provando a riconnettersi con l’“uomo nella baita” autore del best seller indipendente For Emma, Forever Ago.

Un impulso reso evidente in ottobre dall’Ep Sable, “triangolo equilatero su ansia, senso di colpa e speranza”, per usare le sue parole, che costituisce il prologo all’opera completa: sensazione rafforzata dal formato commerciale, articolato in dischi separati. Quello breve, intitolato agli abiti del lutto, contiene le canzoni già note, un trittico introspettivo che rievoca l’essenzialità degli esordi, aggiungendo il minimo indispensabile all’osmosi fra voce e chitarra: la viola in “SPEYSIDE”, una spruzzata di fiati in “Things Behind Things Behind Things” (“Mi sorprendo a guardarmi allo specchio con una certa regolarità, quello che vedo somiglia a una specie di avversario”, dice il testo a un certo punto) e un sassofono carico di spleen in “Award Season”, dove si apprezza inoltre la pedal steel manovrata dal virtuoso Greg Leisz e filtra un raggio di ottimismo – “Come può cambiare tutto in così poco tempo, puoi rimetterti in sesto, puoi vivere di nuovo” – nella penombra di una solennità liturgica.

 Dopo di che arriva la “fiaba” vera e propria, scandita in nove capitoli, primo dei quali è una “Short Story” affidata all’inconfondibile falsetto del protagonista. Via via il ventaglio musicale si allarga e con esso l’assortimento strumentale (la platea dei collaboratori ne conta una trentina abbondante), senza che gli arrangiamenti divengano tuttavia complessi quanto nei due ultimi lavori. 

Ecco allora il gospel modernista di “Day One” e l’insinuante R&B da viso pallido di “Walk Home”, prezioso involucro di una dichiarazione d’amore: “No, non abbiamo bisogno di tende alle finestre, possiamo lasciar entrare la luce, possiamo liberarci dei vostri fardelli mondani, di questo sono sicuro, sei fatta per me”. 

 È lo stesso sentimento di cui si era appena detto “spaventato” in “Everything Is Peaceful Love”, avendo in sottofondo il palpito sintetico di una batteria elettronica, mentre la melodia fragile di “From” descrive una situazione contrastata (“Ancora in maggio c’erano coriandoli nell’auto e adesso sembra che siamo distanti, ma io sono pronto”) e dalla malinconia disegnata in “There’s a Rhythm” dagli accordi di piano Rhodes e Wurlitzer trapela un desiderio di tepore (“Forse è il momento di andare, potrei lasciarmi alle spalle la neve per una terra di palme e oro”), che segue in sequenza il convincente duetto con Danielle Haim in “If Only I Could Wait”.

 Presentando l’album, Vernon ha parlato di “epilogo” in appendice al ciclo delle stagioni aperto nel 2007 dall’inverno di For Emma... e chiuso sei anni fa dall’autunno di I, I

SABLE, fABLE potrebbe segnare dunque il capolinea dell’avventura intestata a Bon Iver: in tal caso, sarebbe un degnissimo commiato.

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