Tutte le richieste di Damon Locks
List of Demands è il primo album da solista del poliedrico artista di Chicago, già al fianco di Rob Mazurek
Artista poliedrico e veterano della scena musicale di Chicago, il 55enne Damon Locks debutta tardivamente da solista, dopo aver fatto nel secolo scorso gavetta post punk con i Trenchmouth, allargando poi i propri orizzonti espressivi attraverso la band The Eternals e l’eclettico collettivo Black Monument Ensemble, fino a comparire in epoca recente nell’Exploding Star Orchestra di Rob Mazurek, con il quale ha firmato inoltre l’album a quattro mani New Future City Radio (entrambi questi progetti erano in vetrina durante la penultima edizione di NovaraJazz).
Edito dall’influente indipendente cittadina International Anthem, List of Demands deriva da due esperienze precedenti: una composizione commissionatagli dal locale Museum of Contemporary Photography per l’allestimento Beautiful Diaspora/You Are Not the Lesser Part e il ciclo educativo tenuto presso lo Stateville Correctional Center.
L’“elenco di richieste” cui si riferisce il titolo riprende appunto i contenuti del manifesto stilato a fine corso insieme ai detenuti: “Bellezza, forma, destino, amore, tempo, futuro e luce”, recita il testo dell’episodio omonimo, scandito da percussioni ancestrali e punteggiato da inserti di un coro femminile. Come buona parte dei materiali sonori utilizzati, si tratta di campionamenti assemblati con maestria da vecchia scuola hip hop: in apertura di sequenza, ad esempio, “Reversed” – replicato all’epilogo in versione strumentale – rievoca nel pigro loop di piano e organo il mirabile taglia-e-cuci del primo Dj Shadow. “Le luci lampeggiano, i colori si scontrano, le teste girano e questo è solo l’inizio, zigzagando e inciampando nelle tenebre”, declama in chiusura il protagonista, che nel seguente “Distance” emula la postura didattica dei Last Poets (“La distanza fra te e me è finzione, stiamo parlando di prossimità, che crea empatia”), incastonata in un groove imbastito attorno a un ipnotico fraseggio di chitarra.
Fa capolino qui il violino di Macie Stewart, presente pure nell’arzigogolata architettura di “Isn’t It Beautiful”, dove l’autore afferma in tono da comizio: “Il naufragio avviene con noncuranza, sorprendente ma non inaspettato, eppure piomba con un boato”. Altro strumento convenzionale inserito nel mosaico di frammenti registrati è la tromba di Ben LaMar Gay, che in “Holding the Dawn in Place (Beyond pt. 2)” decora con grazia il flusso narrativo: “Tenendo l’alba al suo posto, rispettiamo il tempo, conoscendo l’oscurità di mezzanotte”, dicono i versi cruciali.
Dichiarandosi debitore del compianto MF Doom in termini musicali, riguardo all’aspetto tematico Locks colloca il proprio discorso in un alveo afrodiscendente nel quale la dub poetry di Linton Kwesi Johnson e Michael Smith incrocia l’attivismo radicale di Angela Davis, Stokely Carmichael e Amiri Baraka. Il linguaggio è perciò tagliente, ma anche immaginifico: “Meteore di paura ferocemente esplosive scendono dal cielo, trafiggendo il terreno con crateri di dubbio e sfiducia”, racconta “Meteors of Fear” in un’ambientazione apocalittica che riecheggia il rumorismo scientifico dei Public Enemy targati Bomb Squad, mentre in “The Signal Is Hot” all’inquietudine verbale (“L'ago premuto, inchiodato sul rosso, tutto quanto diventa allucinogeno, al di là della nostra comprensione”) corrispondono moleste interferenze elettroniche.
Culmine dell’opera è “Click”, che su un ammaliante fondale minimalista descrive il turbamento del panico al risveglio provato “ieri” (“La minaccia è ovunque intorno a te”), “oggi” (“Tutti i significati sono stati invertiti e convertiti sistematicamente in formati diversi, per cui siamo più spesso antiquati che aggiornati”) e “domani” (“Le reti creano connessioni e monetizzano le reazioni, come vi sentite rispetto a ciò che avete appena visto o sentito?”).