La Bisanzio immaginaria di Segatta
Il Concerto bizantino di Nicola Segatta è dedicato a (e interpretato da) Giovanni Sollima
C’è tanta ricca immaginazione nella mezz’ora abbondante di musica racchiusa in questo recente disco che accoglie il Concerto Bizantino per violoncello e orchestra che il compositore, violoncellista e liutaio trentino Nicola Segatta ha dedicato a Giovanni Sollima e che lo stesso artista siciliano interpreta in questa registrazione effettuata presso il Kulturzentrum Gustav Mahler di Dobbiaco tra il 22 e 23 gennaio dello scorso anno.
Strutturato in maniera canonicamente tripartita, questo lavoro propone un immaginario che miscela una vena lirica distesa e comunicativa con un virtuosismo strumentale che coinvolge la Piccola Orchestra Lumière, capace di rispondere con bella reattività alle sollecitazioni di una partitura decifrata con gusto attento e partecipe dalla direzione di Marcello Fera.
Il corposo primo movimento, titolato Paradjanov, prende il nome dal regista armeno Sergey Paradjanov e rimanda, in particolare, al suo film Il colore del melograno, che narra la vita del cantore e poeta Sayat Nova. La genesi di questo brano è frutto di viaggi e soste dell’autore – da San Pietroburgo a Sonnino, dal sottobosco di una pineta vicino Trento alle Fiandre francesi – che hanno anche toccato la casa dello stesso Paradjanov a Erevan. Il risultato, al di là delle suggestioni più o meno contingenti, appare come un denso affresco timbrico-melodico, disegnato sulla base di una tavolozza armonica e coloristica connotata da una raffinata seduzione descrittiva, nutrita di vivaci rimandi e gustose evocazioni di ideali repertori segnati da caratteristiche risonanze intrise di certo esotismo. Un panorama espressivo nel quale la dimensione solistica del violoncello di Sollima trova un proprio spazio lirico di primo piano, attraversato con spontanea freschezza e sagacemente abitato da un susseguirsi di idee tematiche suggestive, dinamiche ed efficacemente immediate.
Un carattere che viene confermato anche nelle restanti parti di questo Concerto, a partire dal secondo movimento che prende forma in una distesa e mite Ave Maria che il violoncellista siciliano cesella con coinvolta intensità nel dispiegarsi del dialogo tra le corde del suo strumento e le istanze che giungono ora dagli impulsi ritmici delle percussioni, ora dagli interventi della compagine orchestrale.
Nella terza e ultima parte, titolata Ivry e ispirata a un’improvvisazione che il violinista israeliano recentemente scomparso Ivry Gitlis ha eseguito a Tokyo nel 1990, un’esposizione solistica del violoncello dell’interprete palermitano avvia la tensione dialettica con l’ensemble strumentale sulla base di un dialogo che sgorga da una densità timbrica che intride tutta l’atmosfera espressiva, un panorama musicale che pare nutrirsi di tanto in tanto di stilemi klezmer che innervano gli scarti timbrico-ritmici che compongono la struttura del brano, coltivando inoltre una sottile vena ironica che accompagna l’ascoltatore fino alla distesa e riflessiva oasi conclusiva, suggellata da un radioso e perentorio finale.