Lucidvox, la fredda new wave russa

Affascinante esordio internazionale per le Lucidvox, da Mosca, tra post-punk e suggestioni filk

Lucidvox We Are
Disco
pop
Lucidvox
We Are
Glitterbeat
2020

Dopo l'allucinazione italiana del capodanno televisivo ecco un'altra perla dalla Russia: We Are (мы есть) è il primo album internazionale di Alina (voce / flauto), Nadezhda (batteria), Galla (chitarra) ed Anna (basso) che formano le Lucidvox nel 2013, a Mosca.

Iniziano suonando cover dei Sonic Youth e dei Pixies ed ora (il disco è di fine 2020) la sempre attenta Glitterbeat le presenta finalmente al mondo. Nove tracce eclettiche e personali capaci di coniugare istanze e sapori diversi: ruggini post-punk, composti brividi cold wave, languori sepolti sotto la neve, l'estasi dell' 'imprendibile canto folk dell'Est arrivato a noi attraverso Le Mystère des Voix Bulgares mosso da turbolenze noise-rock.

Già la prima traccia, "My Little Star" è felicemente schizofrenica e multiforme: su un drone gelido di synth fiorisce una melodia vocale antica, poi una chitarra sghemba ed affilata ci riporta dritto ai grandi e probabilmente dimenticati Ne Zhdali, band estone che a fine anni Ottanta si inventò una scombiccherata formula di avant-folk/punk che dal vivo faceva letteralmente scintille (il cantante e chitarrista Leonard Soybelman formò poi i Kletka Red con Andy Moor di The Ex: recuperateli, ne vale la pena). Poi entrano un basso minimale e solenne e una batteria che fa rotolare il pezzo verso la fine, dove di nuovo restano da sole le voci e il synth.

"Knife" mantiene la lama che promette nel titolo e fa riemergere benvenute memorie dei Jane's Addiction di Nothing's Shocking: lo stesso clima torrido e drogato, con armonie vocali che puntano dritto al cielo ed una chitarra che sbanda felicemente tra wah wah, acida reiteratività e urgenza surf. Una bomba.

Lungo tutte le nove tracce si registrano sporadici cali di tensione o di ispirazione: per arrivare al capolavoro manca senz'altro ancora qualcosa (la batteria, in "Amok" – ma non solo – ad esempio è pestona senza troppo costrutto, e i pezzi tendono forse a replicare un po' troppo il medesimo canovaccio), ma le premesse restano molto buone. Risaltano soprattutto la capacità espressiva della cantante e la facilità della band nel trovare ganci istantanei che rendono facile mandare le canzoni a memoria: l'inverno elettrico di "You Are", il punk elementare di "Body", stranito di nuovo dalle voci e trafitto da parentesi wave (Perry Farrell apprezzerebbe). La tromba fa spiccare il volo a "Runaway", retta da un pugno di note di basso, incalzante e languida, un inaspettato flauto porta per un momento quasi dalle parti dei Gong Sirin, che poi conferma il solido dettato minimassimalista della band, abile nel mescolare il nitore della tradizione popolare con le ombre di un rock a presa rapida, (d)evoluto al punto giusto. Dalla Russia con amore.

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