Un sermone (in sanscrito) da Father John Misty

Mahashmashana, nel segno di un massimalismo esistenzialista, è il sesto album di Father John Misty

father john misty
Disco
pop
Father John Misty
Mahashmashana
Bella Union
2024

Qualcuno lo avrà ascoltato già mercoledì al Disco d’Oro di Bologna, nell’unico “listening party” italiano dei tanti organizzati in giro per il mondo allo scopo di propagandarne l’uscita: Mahashmashana è il sesto album realizzato da Josh Tillman dopo aver adottato lo pseudonimo pastorale che lo accompagna da quando smise di suonare la batteria nei Fleet Foxes, ovvero Father John Misty. 

Ad anticiparlo era stata a luglio la traccia di chiusura nel compendio antologico chiamato ironicamente Greatish Hits: “I Guess Time Makes Fools of Us All”. Si tratta di un colosso da otto minuti e mezzo abbondanti a base di fiati funk, solfeggio country, schitarrate wah wah, break di percussioni e altro ancora, durante il quale il protagonista si definisce “verosimilmente la persona meno famosa a rifiutare la copertina di ‘Rolling Stone’”, pronosticando per sé un viale del tramonto “a Las Vegas, mentre faccio i miei grandi successi” e osservando en passant un matrimonio grottesco (“Lo sposo è un bugiardo, la sposa un’imbrogliona”).

 Se “il tempo ci rende tutti ridicoli” è perché “a un certo punto arrivi a un’età in cui la fine inizia a profilarsi all’orizzonte: non è più un panorama di possibilità infinite”, ha dichiarato di recente a “Mojo”, interrompendo un prolungato silenzio stampa. A 43 anni compiuti, dunque, il cantautore statunitense sta cominciando a considerare la caducità dell’essere umano: ne è riprova il titolo scelto, una specie di scioglilingua che in sanscrito significa grossomodo “grande spazio di cremazione”. 

La canzone omonima apre la sequenza, estendendosi con malinconica solennità oltre i nove minuti su un fondale di grandeur orchestrale modello Spector e affermando verso l’epilogo che “una bugia perfetta può vivere per sempre, la verità non se la passa altrettanto bene”. 

Come da programma, i testi sono verbosi e immaginifici, quasi racconti brevi, e ostentano un’intelligenza narrativa di classe superiore mescolando melodramma e humour nero. Prendiamo “She Cleans Up”, numero di rock blues ancheggiante degno dei Primal Scream: strada facendo incappiamo in Maria Maddalena (“Poco prima della vigilia del Venerdì Santo, pensando che il prezzo della salvezza fosse un po’ troppo alto”) e l’“aliena Scarlet in viaggio su un furgone bianco nella campagna scozzese” (se avete intercettato Under the Skin di Jonathan Glazer, sapete di cosa parla).

 Il solito Father John Misty, insomma: gran sacerdote del “troppismo”. E ovviamente autoreferenziale: ecco perciò l’eloquente “Josh Tillman and the Accidental Dose”, ballata dal tono confessionale immersa in atmosfera da nightclub, ferita e carezzata da archi schizofrenici, con introduzione folgorante (“Ha messo su Astral Weeks dicendo ‘Mi piace il jazz’ e facendomi l’occhiolino”) e successiva parata di personaggi in stile Easton Ellis (“Un pubblicitario e un single, tacitamente fascisti”, più in là uno “yuppie di Pynchon”). 

Morale? “Ho visto qualcosa che non dovevo vedere, la terribile verità”. Occupandosi quindi di “Mental Health”, si abbandona a un’indolenza confidenziale da consumato crooner, avendo intorno arrangiamenti hollywoodiani che rimandano al precedente Chloë and the Next 20th Century, benché l’incipit sia raggelante: “Nel Panopticon non accendono mai le telecamere, le guardie e i tipi della narcotici sono andati a casa”. Insiste in apparenza su quel registro sommesso la seguente “Screamland”, che cova però un climax frastornante innescato dalla chitarra elettrica in chiave Low di Alan Sparhawk. 

 Se quel brano culmina nell’esuberante slogan “Rimani giovane, stordisciti, continua a sognare”, subentra viceversa la rassegnazione nel conclusivo “Summer’s Gone”: “E contro la tua volontà arriva la saggezza, con altri 40 anni davanti a te”. 

Banalizzando, potremmo ricondurre il soggetto alla tipica “crisi di mezza età”, ma la vastità massimalista dell’ambizione espressiva (gli indizi porterebbero al primo Scott Walker, al quale Tillman – assecondato dalla BBC Symphony Orchestra – ha reso omaggio nel maggio 2023 al Barbican di Londra) sfida l’ascoltatore: Father John Misty è fatto così, un artista da prendere o lasciare, Personalmente, prendo.

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