La prima da solista di Kim Deal
Nobody Loves You More è il primo album dell’icona femminile dell’indie rock statunitense
Mentre sullo sfondo i Pixies, di cui fu parte essenziale, proseguono l’attività (è uscito da poco The Night the Zombies Came) e con le Breeders ha appena affrontato vaste platee (dall’ultimo festival di Glastonbury ad alcune date nel tour statunitense della giovanissima diva Olivia Rodrigo, sua dichiarata ammiratrice), alla bella età di 63 anni pubblica il primo album da solista Kim Deal, al pari di Kim Gordon massima icona femminile del rock alternativo d’oltreoceano.
Posizione rispetto alla quale si è espressa così in estate, interpellata da “The Guardian”: “Mi fa piacere, anche se la parola ‘alternativo’ mi lascia un cattivo sapore in bocca. Vengo dall’Ohio: ‘Alternativo a cosa? Alla buona musica?!?”.
Di lei, nel gennaio 2022, scriveva su X Steve Albini: “È un cazzo di tesoro. Totalmente dedita al suono che ha in testa, compone piccoli capolavori intensi e originali che premiano l’ascolto ripetuto come un grande romanzo fa con la lettura”.
Il compianto artista di Chicago risulta produttore di otto tracce delle undici incluse in Nobody Loves You More, tutte mixate da Marta Salogni, e l’ukulele da lui regalatole tempo fa indirizza lo svolgimento di “Summerland”, sognante ballata acustica intestata a un’isoletta al largo di Key West, in Florida, luogo del cuore per l’autrice: “Mi spingo nella notte, le stelle fluttuano nel mare, è abbagliante”, recitano i versi iniziali. Alludono sia all’esperienza personale sia alla sventurata impresa del performer olandese Bas Jan Ader, scomparso nel 1975 durante un tentativo di traversata solitaria dell’Atlantico: fonte d’ispirazione rievocata implicitamente dalla messinscena allestita per la foto di copertina.
Nell’intervista citata, aveva confessato a proposito: “Giuro di essere intrigata dal fallimento, non so perché ... Il fallimento è più confortevole”. Di questo parla a un certo punto il testo di “Coast”: “Evidentemente per tutta la vita sono stata sciocca, ho cercato di colpire duro ma ho fallito”, avendo di contrappunto i fiati mariachi di una marching band chiamata Mucca Pazza.
Si tratta di uno degli episodi incaricati di segnare la distanza dai suoi trascorsi musicali. Un altro è quello che apre il disco e gli dà titolo: la voce – fragile e svagata – è inconfondibile, ambientata però in un tripudio orchestrale dal gusto Brill Building, riferito in verità al kitsch “inguinale” escogitato da Hugh Hefner per lo show televisivo Playboy After Dark, spiegava lei stessa a “Uncut”.
E su lunghezze d’onda insolite – fra lamenti di steel guitar e carezze d’archi – scorre pure la struggente “Are You Mine?”, punteggiata dagli intercalari interrogativi della madre malata di Alzheimer: “Sei mia? Sei la mia bimba? Ci siamo viste ultimamente?”. È la versione nuova di una canzone risalente addirittura al 2013, impressa allora su 45 giri insieme all’incantevole “Wish I Was”, a sua volta rimodernata nell’occasione, approssimandosi al lato morbido delle Breeders, la cui attitudine più brusca – tipo “Cannonball”, per intendersi – riecheggia viceversa nel groove modellato dal fuzz in “Crystal Breath”.
Si allineano al glorioso passato anche l’ombroso “Disobedience” (“Se questo è tutto ciò che siamo, sono rovinata”), il rumoroso “Big Ben Beat”, numero di electro rock trainato da Fay Milton e Ayse Hassan, già sezione ritmica delle Savages, e il conclusivo “A Good Time Pushed”, che sfocia nell’assolo alla chitarra di Raymond McGinley dei Teenage Fan Club, altra vedette nell’affollato parterre dei collaboratori (una ventina complessivamente), dove spicca ovviamente la (quasi) insperabile gemella Kelley.
Canta Kim Deal al culmine di quel brano: “Ora è il momento di ottenere ciò che voglio e quando l’avrò capito, consideralo preso”. Non c’è didascalia migliore per Nobody Loves You More: album dalla freschezza sorprendente, a dispetto di una gestazione durata oltre un decennio.