Un tango per Solanas

È morto a 84 anni per il covid il regista e intellettuale Fernando “Pino” Solanas

Fernando "Pino" Solanas
Fernando "Pino" Solanas
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Quién sabe una noche me encane la muerte y chau Buenos Aires no te vuelvo a ver (Chissà che una notte non mi prenda la morte e allora ciao Buenos Aires non ti vedrò più). Sulle note e i versi, scritti da Enrique Cadícamo e Guillermo Desiderio Barbieri, Carlos Gardel si rivolgeva con “Anclao en Paris” agli immigrati argentini a Parigi misurando tristemente la distanza atlantica fra la capitale francese e Buenos Aires nel film Tangos. L'esilio di Gardel.

Trentacinque anni dopo, Parigi si è portata via il regista di quella e di altre indimenticabili opere cinematografiche che hanno letto con umanità e sguardo critico i destini del suo paese. Fernando “Pino” Solanas dall’estate scorsa rappresentava l’Argentina presso la sede internazionale dell’Unesco a Parigi. Poi, il Covid. Aveva scritto di recente: «Amici, sono ancora in terapia intensiva. La mia condizione è delicata, mi curano bene. Resisto. Insieme a mia moglie Ángela, anche lei ricoverata, vorremmo ringraziare tutti per il sostegno. Abbiate cura di voi». Ha resistito per settimane, fino al 6 novembre. Ha scritto di lui Pablo Gentili, responsabile delle relazioni internazionali del Ministero dell’educazione argentino: «Aveva 84 anni, ma sembrava ne avesse 20. Ci sentivamo spesso al telefono ed era sempre interessato ad essere coinvolto in tutte le iniziative e sentiva forte l’urgenza del difendere il pianeta, del combattere questa guerra per il futuro dell’umanità».

Riguardo alla sua arte, Paulo Antonio Paranagua scriveva già negli anni Novanta che sentiva come tutti i film di Solanas possedessero una forma di movimenti musicali. Del suo lavoro di regista diceva: «Mi faccio sempre la stessa domanda: cosa dovrei raccontare per far sì che le persone vengano e non pensino che tutto quel che sto dicendo sia un esercizio di stile? Mi pare che molti film non siano altro che il seguito di quel che succede in televisione, magari con meno qualità; poi c’è il cinema serio ed è quello che cerco di fare».

«Mi faccio sempre la stessa domanda: cosa dovrei raccontare per far sì che le persone vengano e non pensino che tutto quel che sto dicendo sia un esercizio di stile?

Solanas segue da vicino le vicende peroniste e gira fra il 1973 e il 1975 Los hijos de Fierro, due ore in bianco e nero che raccontano gli anni fra il 1955 e il 1973 collegando gli attivisti peronisti ai “figli” del gaucho Martín Fierro, collaborando per le musiche con Alfredo Zitarrosa, cantautore impegnato politicamente, poeta di una canzone uruguagia attraversata dalle tradizioni musicali del Cono Sud.

«Per Los hijos de Fierro ho scelto come musiche candombes e murgas. Poi mi sono dato al tango, specialmente quello creato da Piazzolla», spiegava Solanas.

Minacciato di morte e scampato a un tentativo di sequestro, lascia l’Argentina nel 1976, prima per Madrid e poi per Parigi, dove gira il documentario sulle disabilità La mirada de los otros in cui ricorre alle musiche di Debussy e Satie. Deve lasciare incompiuto un progetto, Adiós Nonino cui aveva cominciato a lavorare con Astor Piazzolla. Ma col ritorno della democrazia in Argentina, può finalmente dare corpo al suo lavoro sul tango. Nel 1985 rinnova la collaborazione con Piazzolla e gira Tangos. El exilio de Gardel” che lega strettamente Parigi a Buenos Aires attraverso i vissuti dei migranti argentini. Insieme a Piazzolla e a José Luis Castiñeira de Dios crea una “tanguedia” (tango + tragedia), un’opera musicale plasmata dal tango fin dalle battute di apertura del film, con “Dúo de amor”.

Lo stesso Solanas scrive due brani (“Tango, tango”; “Solo”), i testi delle canzoni, e interpreta nel film Discépolo (Enrique Santos Discépolo), l’autore negli anni  dai venti ai quaranta dei “tangos de oro”, da “Yira, yira” a “Cambalache”. Con l’attrice e cantante Marie Laforêt nel ruolo di Mariana, il film si guadagna nel 1986 il premio francese César per la miglior colonna sonora.

Il tentativo di un gruppo di esuli a Parigi di portare in scena una tanguedia è accompagnato lungo tutto il film dal quintetto di Astor Piazzolla. “Dúo de Amor” lascia al solo bandoneón l’esposizione della cellula ritmico-melodica che poi attraverserà l’intera opera, dialogando volentieri con il violino di Fernando Suárez Paz, andando a scovare andamenti ritmici diversi: da una lenta yumba al tango tradizionale, alla milonga urbana che nella sua accentuazione (3+3+2) fa da preludio alle composizioni della tanguedia vera e propria che riprendono quella cellula ritmica e la elaborano con le parti più contrappuntistiche dell’opera.

Non mancano i riconoscimenti in Argentina, per Solanas (Cóndor de Plata dell’Asociación de la critica cinematográfica) e in America Latina (Gran Premio a la mejor música original nel Festival dell’Avana).

Tre anni dopo, a Cannes vince il premio come miglior regista con Sur, coproduzione argentino-francese che rinnova il sodalizio con Astor Piazzolla e coinvolge anche Fito Páez che interpreta sé stesso e contribuisce alla colonna sonora con “Ushuaia”

I tanghi inclusi nel film sono quelli di Aníbal Troilo, Mariano Mores e Homero Expósito, interpretati dalla voce di Roberto Goyeneche con Nestor Marconi al bandoneón, Raul Luzzi alla chitarra, Carlos Gaivironsky al violino e Humberto Ridolfi al contrabbasso. Sono rimaste memorabili “Sur”, composta da Aníbal Troilo e Homero Manzi, e "Vuelvo al Sur", che vede l’interazione fra Astor Piazzolla, per la parte musicale, e Solanas per i versi.

Solanas compone anche "Milonga del tartamudo", che vede protagonista Alfredo Zitarros.

Anche in questo caso il Festival dell’Avana fu prodigo di riconoscimenti (Gran premio Coral per il miglior film, ma anche il premio per la migliore colonna sonora).

Se la tanguedia aveva descritto l’esilio europeo (ma anche quello interno all’Argentina), Sur esplora l’esilio interiore degli anni della dittatura militare, prendendo il 1983 come baricentro della narrazione, con l’uscita di un detenuto dopo cinque anni di carcere inflitti dalla dittatura. Come vincere paura e rancore? In quali condizioni tornare alla democrazia? La musica aiuta meglio di qualunque altro elemento a rendere questa transizione, in particolare con “Tristeza separación” affrontata sia col quintetto, sia col bandoneón solo, ad opera di Nestor Marconi.

Solanas utilizzerà ancora due brani di Piazzolla per El viaje, uscito nel 1992. Nel frattempo, a maggio del 1991, aveva preso il potere Carlos Menem e Solanas fu gambizzato con quattro pallottole da “sconosciuti”, poco dopo aver criticato senza mezzi termini il nuovo presidente e i suoi disegni liberisti e di privatizzazione. Disse: «Ha ragione Charly García quando avverte che quel che sta avanzando è il nulla. Ma in questo paese è un nulla terribile. Una cosa è un’inondazione, un’altra, molto peggiore, è un’inondazione di merda. Proprio quel che succede il El viaje».

Si trasforma così il suo impegno politico che prende forma anche nelle assemblee legislative, prima nella città di Buenos Aires, poi come deputato nazionale. Il successivo La nube riprende là dove si chiudeva El viaje con le acque che si abbassano mentre emerge la normalizzazione di abitudini alienanti e autolesioniste. Queste satire grottesche e l’attenzione per gli invisibili in Memorias del saqueo (2003), La dignidad de los nadies, gli valsero riconoscimenti a Montréal, Venezia, Valladolid e L’Avana, grazie a uno sguardo che decostruisce la “modernità” cogliendone gli aspetti di inesorabile detonatore dei conflitti sociali e ambientali, temi che lo videro assumere un atteggiamento critico anche nei confronti del kirchnerismo.

A luglio del 2020 aveva accettato di buon grado il ruolo di ambasciatore argentino presso l’Unesco. Ricorda Pablo Gentili: «Traspariva il suo entusiasmo per i temi della scienza aperta, del rapporto dell’etica con l’intelligenza artificiale. Immaginava progetti che ampliassero le frontiere di quel che dovevamo realizzare.  Partecipò anche ai nostri Diálogos en la pandemia, e in particolare fu intervistato da Leandro Quiroga. Un video che oggi acquista un imprescindibile valore di testimonianza di un Pino che era una fabbrica di energia, di idee, di memoria, di futuro».

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