Una Cambiale come pegno della ripartenza del ROF
La prima opera di Rossini è l’unica nuova produzione del festival pesarese per quest’edizione. E in piazza la Petite Messe Solennelle in omaggio agli operatori sanitari e in memoria delle vittime della pandemia
Quest’anno il ROF si svolge dall’8 al 21 agosto ma il 6 ha offerto due “fuori programma”: nel primo pomeriggio l’anteprima della Cambiale di matrimonio al Teatro Rossini e di sera la Petite Messe Solennelle in Piazza del Popolo. Dunque l’alfa e l’omega della musica di Rossini, perché una è la prima sua opera, rappresentata, nel 1810, e l’altra l’ultima sua composizione di ampie dimensioni, scritta nel 1863. Innegabilmente in oltre cinquant’anni molte cose erano cambiate nella sua musica, ma una base inconfondibile di “rossinismo” lega queste composizioni, così lontane tra loro non solo per gli anni che le separano ma anche per la destinazione.
Nessuno attribuirebbe La cambiale di matrimonio a un diciottenne, perché sembra proprio l’opera di qualcuno già pienamente padrone dei ferri del mestiere, tuttavia sarebbe eccessivo proclamarla un capolavoro. Rossini – e a maggior ragione il librettista Gaetano Rossi - non era ancora pienamente consapevole che nel genere comico quel che più scatenava la sua inventiva erano le situazioni surreali, quella “follia organizzata e perfetta” di cui non c’è ancora alcun sentore nella storia già allora trita e ritrita dell’amore di due giovani ostacolato da un rappresentante del vecchio mondo che non dà alcun peso ai loro sentimenti e vuole combinare un matrimonio d’interesse. In questa consunta trama dovrebbero introdurre qualcosa di nuovo due idee alquanto bislacche, ovvero far arrivare il marito prescelto dal padre per la figlia nientemeno che dall’allora remotissimo Canada e sostituire il regolare contratto di matrimonio con una “cambiale di matrimonio”.
Difficile scrivere una musica particolarmente memorabile su un libretto che non offre nessun appiglio, ma Rossini riesce a tener sempre desta l’attenzione con idee vivaci e varie e un ritmo teatrale serrato. Lo servono bene la regia di Laurence Dale, che da alcuni anni ha lasciato la carriera di tenore per quella di regista, e le scene e i costumi di Gary McCann, che ha disegnato la facciata di una tipica casa della agiata borghesia londinese del primo ottocento, che si apre come un sipario sui vari interni domestici, dal salotto alla cucina. Azione vivace e divertente, con un umorismo molto british invece delle vecchie gag banali e di dubbio gusto. Unico elemento bizzarro è l’orso che il canadese Slook porta con sé e che dapprima terrorizza tutti ma poi si rivela un bonaccione, al punto di mettersi ai fornelli per preparare la torta nuziale, in tutto simile al suo padrone, che dapprima appare alquanto rudi ai suoi ospiti inglesi ma poi si rivela d’ottimo cuore e generoso, rinunciando alla sua cambiale di matrimonio a favore dell’innamorato (e spiantato) Milfort.
Non perché manchino puntate all’acuto e virtuosismi funambolici questa farsa comica in un atto è così facile come potrebbe sembrare. Bravi i cantanti che l’hanno realizzata come meglio non si potrebbe. L’esperto Carlo Lepore è stato un “buffo” di perfetta caratura. Gli altri erano più giovani ma non sono stati da meno, a cominciare dall’ucraino Iurii Saimolov, che è ancora giovane ma ha già alcuni anni di carriera internazionale alle spalle, e si sente: padroneggia con agio la sua bella voce baritonale, un po’ chiara, ed è un attore molto spigliato, che incarna alla perfezione i modi sbrigativi di Slook. Come in altre farse di Rossini, il soprano ha una parte più impegnativa degli altri, inclusa un’aria piuttosto elaborata, che non ha creato problemi a Giuliana Gianfaldoni. Vivace e simpatico il tenore David Giusti. Nonostante i loro fossero personaggi minore, si sono fatti apprezzare anche Pablo Gàlvez e Martiniana Antoine, che aveva anche una breve e frizzante aria.
Il direttore era un altro tenore, Dmitry Korchak, che alterna sempre più spesso i due ruoli. Non ha lasciato un’impressione positiva. Un primo problema era il suono sempre forte e pesante dell’orchestra: vero è che la collocazione al centro della platea degli strumentisti, per mantenere il necessario distanziamento, favoriva quest’effetto, ma non sarebbe stato impossibile per il direttore porvi rimedio. A ciò si aggiungano i tempi lenti e metronomici, l’assenza di fraseggio e di respiro, la scarsissima attenzione per le voci, che è il colmo per un direttore che è egli stesso cantante. Gli va riconosciuto però di avere tenuto saldamente in pugno le redini dell’orchestra, ottenendo puntualità e precisione dalla valida Orchestra Sinfonica G. Rossini.
Un po’ di delusione è stata provocata dalla cancellazione, a causa di un’indisposizione dell’interprete, della cantata Giovanna d’Arco, che avrebbe dovuto precedere laCambiale.
La sera la Petite Messe Solennellenon era solamente un appuntamento musicale ma un momento di grande commozione per la dedica “in omaggio a tutti gli operatori al servizio della collettività e in memoria delle vittime della pandemia”. Dal palco il presidente della regione, il sindaco di Pesaro, il presidente e il direttore artistico del ROF hanno rafforzato con brevi e commossi discorsi la dedica di questo concerto. In platea era seduta la senatrice Liliana Segre, cui il pubblico ha tributato un applauso che non voleva finire mai.
La grande Piazza del Popolo non è però il luogo ideale per una musica così raccolta né l’amplificazione risolveva al meglio il problema, mettendo eccessivamente in risalto il primo dei due pianoforti, mentre era quasi inudibile l’harmonium. Comunque si sono potute apprezzare la direzione chiara e analitica del giovane Alessandro Bonato e la buona prova del Coro del Teatro della Fortuna di Fano, preparato da Mirca Rosciani. Ottime le quattro voci soliste, sebbene abbiano un po’ sofferto l’amplificazione, che ne alterava i timbri. Ormai Mariangela Sicilia è una sicurezza, con la sua vocale limpida e morbida e la sua sincera partecipazione emotiva. Cecilia Molinari, che in pochi anni abbiamo visto trasformarsi proprio qui a Pesaro da ottima comprimaria a protagonista, ha offerto una prova maiuscola per autorevolezza vocale e per intensità espressiva, particolarmente nell’Agnus Dei. La voce del giovane tenore Manuel Amati all’inizio stentava a trovare il giusto appoggio, probabilmente per l’emozione, ma in seguito le cose sono migliorate. Sempre sicuro e autorevole il basso Mirco Palazzi. E per tutti i calorosi applausi del pubblico.
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