L’acrobata rischia sempre di apparire un monstrum, qualcosa o qualcuno che non sta nelle leggi di natura, nella leggerezza imponderabile con cui sembra eludere le leggi della fisica e il fardello recalcitrante della forza di gravità. L’acrobata sta in bilico tra due mondi, quello uranico che è dimensione del cielo e dell’altezza, quello ctonio che lo lega alla terra e al rischio dello sfacelo nella caduta al suolo, quando tutta la leggerezza può in un momento tramutarsi nel suo opposto. In musica non sono molti coloro che riescono a mantenere tale un equilibrio acrobatico. Si pensi, nel jazz, all’opera di Charles Lloyd, nell’art rock a quanto ha seminato in mezzo secolo Robert Wyatt e, nell’altrettanto complesso mondo delle musiche che chiamiamo “folk” a una figura cardinale come Giovanna Marini.
La Signora del canto (e della chitarra, bisognerebbe anche ricordare) è incarnazione perfetta di quella magnifica ambiguità da acrobata cui si accennava all’inizio, e nel senso letterale del termine: “stare contemporaneamente da due parti”. Sulla terra e in volo. Nella composizione e nel sapersi adattare all’istante ai processi di estemporizzazione. Nella “tradizione” e nella “re-invenzione” della stessa.
Ci voleva un libro come In viaggio con Giovanna Marini (Nota, 116 pp., 35€), curato da Xavier Rebut, musicista, attore e didatta, svizzero di nascita, romano d’adozione, che da lunghi anni, dal 1993, condivide con “la cantora” piste musicali da inseguire e schegge da salvare delle culture popolari musicali di tradizione orale. Per mettere un punto a capo sul senso della vicenda intellettuale e musicale di Giovanna Marini, srotolata ormai in una campitura temporale che mette in conto quasi sei decenni. Sei decenni da solida equilibrista di una leggerezza molto, molto consistente. Ed è una storia che continua, come accenneremo nella seconda parte di questa segnalazione.
Intanto facciamo presente che il libro è arricchito, com’è consuetudine per Nota, da due cd, Altritalia e Modi contadini, trentuno brani nel primo, da un concerto a Metz nel Festival Passages, dedicato al lungo filo rosso delle resistenze popolari a ogni forma possibile e concreta di angheria (per intendersi: dalla Sardegna di "Procurad’e moderare" alla “nordica” "Bella Ciao"), ventinove nel secondo, un’antologia che è un punto fermo sugli elementi cardine del modo di portare la voce in una cultura popolare in via di sparizione.
In più al testo è accluso il dvd Ci vuole una vita, realizzato da Damien Marteau, che è il perfetto pendant visivo al testo e ai cd acclusi, per vedere in azione Giovanna e i suoi allievi nei contesti più diversi: i viaggi, gli incontri con i cantori testimoni ultimi di schegge di cultura popolare, i concerti. La similitudine usata dell’acrobata trova sostanza, qui, in molte e puntuali dichiarazioni di Giovanna Marini sul senso del proprio lavoro, che non è né quello di una cantautrice intesa a realizzare “canzoni sociali” per mero senso etico (ed estetico) di solidarietà, né quello della musicista di estrazione classica che si accosta a un mondo di sonorità “altre” popolari cavandone l’asettico e soddisfatta ricognizione etnomusicologica da conservare in teca dedicata per gli addetti ai lavori. Il lavoro di Giovanna Marini, ed è dato tutto verificabile in questa uscita editoriale, è davvero, come recita il sottotitolo “un’esperienza di insegnamento, ricerca e creazione musicale”. Maturata sui vent’anni di ricerche sul campo effettuate tra il 1988 e il 2018, e compiuti da Giovanna Marini con gli allievi dei suoi corsi.
Sono poco più di cento pagine, quelle del testo affiancato da musica, riprese fotografie, ma chiariscono con osservazioni fulminee della musicista e ricercatrice più e meglio di testi assai più voluminosi. Ad esempio, “imparare e trasmettere”, o la chitarra come veicolo pratico che la porta a suonare a una festa del mondo letterario, e le regala indirettamente, a sorpresa, l'incontro decisivo con Pier Paolo Pasolini, innamorato delle tradizioni popolari, l’incontro con quelli del Nuovo Canzoniere Italiano. C’è poi il soggiorno in America nel ’64, e altre scoperte: quella del circuito dei folk club, il modello di Giovanna Daffini,e, tramite Dario Fo, gli immensi repertori popolari sardi, i timbri che non passano per il sistema ben temperato, eppure colgono universi emotivi sconosciuti alle note eurocolte. Il Salento, a partire dal ’68. Un mondo perduto? «Non è perduto per niente. Perché è un mondo vivo… che importa se noi non zappiamo più cantando queste cose? Quello che rimane è un’altra cosa, è la musica. Ed è una musica importante che rischia di perdersi. Ma finché la cantiamo noi, quella è viva…. Se perdi il contatto intimo con quello che stai cantando, allora è una fregatura».
«Se perdi il contatto intimo con quello che stai cantando, allora è una fregatura».
Splendida la considerazione finale: «Noi siamo una cosa nuova. Non siamo più né cantori, né musicisti colti, né musicisti incolti, né siamo dei musicisti inventati. Siamo dei musicisti che si sono inventati e che hanno trascinato con loro un sacco di gente».
A dimostrazione di tutto quanto si qua riportato, e della vitalità inesausta di questa grande donna del Novecento, è da segnalare allora che Giovanna Marini ha contemporaneamente due altri cd di fresca uscita per Nota, del tutto autonomi rispetto al testo cui s’è accennato, ma inevitabilmente, oggettivamente complementari. Il primo è Giovanna Martini canta Matteo Salvatore, tredici brani del grande cantore incontrato negli anni Sessanta, contrappuntati da racconti e affabulazioni che ci restituiscono lo spessore della figura e la maestria del cantastorie di Apricena. Il tutto in una sorta di “presa diretta” che aggiunge spontaneità, chitarra, voce e sassofoni e clarinetto di Francesco Marini.
Il secondo è Cantata a Riace, nuovo affondo nell'attualità più dirompente del nostro tormentato Paese che ha smarrito il senso della memoria, e grazie a solerti professionisti del rancore mette al bando esperienze superiori di incontro e di civiltà. Non di solo Riace e di Mimmo Lucano si canta e si ragiona in questo cd che vede la partecipazione di Ascanio Celestini, Michele Manca, Francesco Marini, Flaviana Rosi, ma parla anche di Giulio Regeni, Welby ed Eluana Englaro, caporalato e migrazioni. Vecchi e recentissimi brani in nuova fusione alchemica: perché «non è un mondo perduto».