Alla ricerca del meglio della musica folk e world del 2019... con un sospetto: la world music langue. Meno stagioni dedicate, meno pubblico (almeno in Italia), troppa patina esotica, e la consapevolezza che l'etichetta – etnocentrica per definizione – sia ormai usurata. Ma anche una nuova generazione di musicisti che fa musica da cittadini del mondo, grazie a relazioni internazionali e alla possibilità di ascoltare grazie alla rete a suoni da ogni angolo del pianeta. Tra Giappone, Slovenia, Africa e Regno Unito, ecco allora la nostra Top 20 folk e world, tutta da scoprire.
I MIGLIORI DISCHI POP DEL 2019
I MIGLIORI DISCHI JAZZ DEL 2019
I MIGLIORI DISCHI WORLD DEL 2019
LE 10 MIGLIORI OPERE LIRICHE DEL 2019
I 10 MIGLIORI CONCERTI DI CLASSICA DEL 2019
1. Širom, A Universe that Roasts Blossoms for a Horse, tak:til / Glitterbeat
«Sembra folk ma non è», e bene così: il trio sloveno di polistrumentisti Širom (Ana Kravanja, Samo Kutin e Iztok Koren) fa musica difficilmente riconducibile a elementi della tradizione “orale” della loro terra di provenienza, e meno che mai alla patina globalista che affligge molti dischi di quel che resta della world music. Difficile anche limitare A Universe that Roasts Blossoms for a Horse a quest’etichetta, ma tant’è: un disco splendido, di un fascino senza tempo e senza luogo.
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2. Roberta Alloisio & Stephane Casalta, Animantiga, Orange Home Records
Roberta Alloisio non ha fatto in tempo ad ascoltare quanto ha cantato per smuovere, ancora una volta, le acque salate del Mediterraneo. Era andata a caccia di radici tra Genova e la Corsica, le ha trovate e sparigliate assieme a Stephane Casalta e tante altre voci.
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3. Orchestra Bailam & Canterini, Trallalero Levantìn, Felmay
E se a Smirne, a Salonicco, a Instanbul si fosse cantato il trallalero, appoggiando il gioco vocale delle “squadre” genovesi in cerchio a corde e percussioni mediorientali? Sarebbe venuta fuori una musica così. Invenzione della tradizione? Di una tradizione almeno, sicuro. Credibile.
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4. Minyo Crusaders, Echoes of Japan, Mais Um Disco
Per distacco, il premio per il disco più bizzarro del 2019: Echoes of Japan è quello che succede se una big band di dieci elementi si mette a rileggere le melodie folk del repertorio giapponese (detto min'yō) su un tappeto di cumbie, ritmi etiopici e boogaloo – che per giunta suonano come ristampe di vecchi dischi da crate diggers esotici.
5. Lankun, The Livelong Day, Rough Trade
Aria da respirare a boccate piene da una tradizione che spesso rischia qualche debito d’ossigeno, causa accumulo coatto di materiali nei decenni. Un quartetto dublinese che accanto ai traditional inventa anche strumentali azzardati, con perizia scaltrita.
6. Our Native Daughters, Songs of Our Native Daughters, Smithsonian Folkways
Uno dei dischi più importanti degli ultimi anni nell’ambito della cosiddetta Americana: la all-star band guidata da Rhiannon Giddens mette insieme altre tre donne afroamericane (Amythyst Kiah dal Tennessee, la haitiano-americana Leyla McCalla, la canadese Allison Russell) per una riflessione a colpi di banjo su che cosa significa essere donna e afroamericana, nell’America di ieri – e di oggi.
7. Altın Gün, Gece, Glitterbeat
Dal suono non si direbbe, ma dei sei membri degli Altın Gün, solo uno è effettivamente nato in Anatolia. Poco male: questo gruppo di olandesi omaggia la psichedelia turca – da Erkin Koray in giù – in un mix di chitarre fuzzose e sintetizzatori vintage. Irresistibile.
8. Mdou Moctar, Ilana: The Creator, Sahel Sound
Mdou Moctar, dal Niger, è divenuto noto al pubblico occidentale quando un suo brano è comparso nella compilation Music from Saharan Cellphones della meritoria etichetta Sahel Sound; è anche stato il protagonista del primo film mai girato in lingua tashelhit, il remake di Purple Rain intitolato Rain the Color Blue with a Little Red in It. Ora con Ilana: The Creator si impone definitivamente tra i guitar hero del rock tuareg, sulla scia di Bombino ma con una sua personalità ben riconoscibile.
9. Aziza Brahim, Sahari ,Glitterbeat
Quasi vent’anni di esilio parigino da un Paese che esiste non sulle carte geografiche ma solo nei campi profughi possono dare voce intensa a chi non ne ha. Aziza è la voce dei Sahrawi, chi abita il Sahara Occidentale. Produce Amparo Sànchez.
10. Birkin Tree, Five Seasons, Felmay
Aoife Ní Bhríain è la stregante violinista che riattizza il piccolo incendio di suono dei Birkin Tree, quarant’anni di musica irlandese vista dal Sud d’Europa, continui interscambi con la madrepatria del cuore. Eleganza magistrale e una voce, Laura Torterolo, da tenere d’occhio.
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11. Harp & A Monkey, The Victorians, Moonraker
Immaginate una ballata che sembra avere qualche secolo sulle spalle, e una voce ad hoc, incresparsi di acquatici fruscii elettronici, mentre una concertina commenta il tutto. Benvenuti nel futuro anteriore del folk inglese: era vittoriana, o tempo di Brexit?
12. Bantou Mentale, Bantou Mentale, Glitterbeat
Un altro titolo Glitterbeat – davvero la casa della musica più originale in ambito world in questi anni – per tornare in centro Africa, nel suono urbano di Kinshasa, filtrato a Parigi attraverso l’elettronica e il rock e riassemblato da Liam Farrell (già alla regia con Mbongwana Star). Suoni molto poco rassicuranti, per un’Africa molto poco da cartolina.
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13. Aino & Miihkali, Aino & Miihkali, Koistinen
La Finlandia non è il primo Paese che vi aspettate in una top delle musiche dal mondo, a meno che non si parli di voci sui quarti di tono. Facciamo ammenda con questo sorprendente duo che la voce la usa accoppiata a chitarra e a un tintinnante kantele.
14. Park Jiha, Philos, tak:til / Glitterbeat
Piri, saenghwang, yanggeum e altri strumenti della musica tradizionale coreana compaiono in Philos, della giovane compositrice Park Jiha, a fianco di fiati e percussioni occidentali: nessuno indugio esotico o tentazione oleografica però. Piuttosto, una ricerca – minimalista e contemporanea – che parte da suoni, suggestioni e idee musicali “altre”.
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15. Gran Bal Dub, Benvenguts a bòrd, Self
Le (immaginarie) aerolinee occitane promettono un viaggio intenso e tutto mentale, senza valli da violentare e kerosene da bruciare: Sergio Berardo dei Lou Dalfin e Madaski degli Africa Unite assieme. Senza limiti.
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16. Jon Boden & The Remnant Kings, Rose in June, Hudson Records
C’erano una volta I travolgenti Bellowhead, folk rock inglese con fiati e intelligenza, ma poca fortuna. Oggi l’ex vocalist chiama a raccolta diversi ex sodali, lascia le ance sullo sfondo, archi e concertina prendono la scena. E la festa ricomincia.
17. Flavia Coelho, Dna, Le Label/ PIAS
Mettete assieme reggae, hip hop, funk smuovi arti e scalda muscoli come non si sentiva da un po’. Aggiungete un pizzico di cumbia, e un ricordo totale del grande songwriting brasiliano. Tre anni in giro per il mondo. Poi, in pratica, la diva è servita.
18. Kudsi Erguner, La Mélanconie Royale. Méditation Soufie, Seyir Music
Ce ne fossero, di malinconie regali così. Il mondo senz’altro si incamminerebbe su voluttuosi sentieri mistici e pacifici. Prendendo a guida, pifferaio di Hamelin con un flauto nay, il grandissimo Kudsi Erguner, ormai maestro senza confronti.
19. Carminho, Maria, Nonesuch Records
Al quinto disco, il primo ripreso dalla Nonesuch (l’edizione portoghese è della fine del 2018), la figlia d’arte Carminho (sua madre è Teresa Siqueira) smentisce il luogo comune che non si possano eguagliare genitori eccellenti. Lei lo ha fatto, con la creatività perentoria del nuovo fado.
20. Kronos Quartet & Mahsa and Marjan Vahdat, Placeless, KKV
Il nome del Kronos Quartet è garanzia, e questo disco della norvegese KKV ne documenta la collaborazione con le cantanti iraniane Mahsa e Marjan Vahdat, che canta parole di poeti iraniani vecchi (Rumi) e nuovi. La formula è nota, ma l'esito – acustico e insieme alieno, sempre spiazzante – ancora affascina.