Zehetmair e le polifonie del violino di Bach

Thomas Zehetmair rilegge le Sonate e Partite per violino di J.S. Bach in una nuova incisione per ECM

Thomas Zehetmair - Bach - ECM
Thomas Zehetmair (foto di Julien Mignot)
Disco
classica
Thomas Zehetmair
J.S. Bach: Sei solo - The Sonatas and Partitas
ECM
2019

Nel 1720, ai tempi del sua attività presso la corte di Köthen, tre anni prima di approdare definitivamente a Lipsia, città musicale per eccellenza nel Settecento, J.S. Bach licenzia un prezioso manoscritto contenente sei composizioni per violino solo (allora un incredibile dictu): tre Sonate in quattro movimenti, più modernamente classiche, per così dire, e tre Partite invece più canonicamente barocche, articolate in svariati episodi, che prendevano le mosse dalle danze di origine popolare. 

Fino alla conclusione della sua vita, Bach non trovò alcun editore disposto a pubblicare il manoscritto, che invece oggi è spesso banco di prova per molti violinisti che mirino ad una brillante carriera solista. 

Esattamente come nelle forse più celebri e coeve Suite per violoncello, in queste sei immaginifiche composizioni per strumento ad arco, per la prima volta nella storia della musica occidentale – ma chissà che cosa avveniva in ambito popolare, dove crediamo potesse essere diffusa quanto meno la tecnica del cosiddetto double stopping, ovvero sia l’arte di suonare sul violino due note contemporaneamente –, il violino diventa definitivamente uno strumento protagonista e soprattutto completo, autosufficiente, da semplicemente solista, in chiave melodica, che era considerato (anche o soprattutto in ambito orchestrale, come singola parte componente fondamentale di più ampie campiture armoniche). 

Uno strumento che per la prima volta non abbisogna di alcun accompagnamento (Sei Solo a Violino senza Basso accompagnato, recitava il titolo del manoscritto originale), anche nella mirabolante esecuzione di fughe a tre e persino quattro voci, che dovettero porre problemi di composizione ed esecuzione trascendentali (come per altro anche oggi). Teoricamente, infatti, la struttura del violino non permette di suonare più di due note contemporaneamente, perché l'archetto poggia al massimo su due corde alla volta. 

E però, nelle Sonate e Partite, Bach riuscì nell’impresa di garantire la persistenza di più voci, linee armoniche indipendenti e continue, tramite arpeggi di tre o quattro note successive, e magari grazie anche all'espediente di un ostinato tenuto sulla medesima corda. In questo modo, anche facendo a meno della base armonica o di un basso continuo, Bach crea un messaggio musicale altamente complesso e stratificato: pur disponendo fisicamente di un'unica voce, costruisce un’intrigante polifonia a due, tre, perfino quattro voci, suggerendola in maniera così potente ed efficace che l'ascoltatore non ha alcuna difficoltà a compensarne l'assenza materiale, che in realtà finisce per essere una sostanziale e autonoma presenza. Questo il senso nuovo delle voci che si rincorrono, suonate magicamente da un unico strumento, che improvvisamente svolge la funzione di un piccolo assieme. 

Un concetto in parte paragonabile alla complessa pratica, in ambito di strenua ricerca timbrica, di eseguire multifonie, ovviamente dal precario sviluppo diacronico, su uno strumento monodico, come per esempio il trombone (pensiamo agli storici esperimenti di Albert Mangelsdorff). 

Ma non si creda che tutto questo corrispondesse ad un’esaltazione dell’individuo o della personalità individualistica, nonostante il titolo scelto per questa nuova pubblicazione sembri chiaramente alludere, denunciandola, all’odierna solitudine di ciascuno nelle attuali sfibrate società; perché, come già sottolineato, Bach allestiva sempre nell’immaginazione dell’ascoltatore ampi scenari polifonici e orchestrali, avventurosi percorsi musicali dialogici e corali. 

Nell’esecuzione sicura e impeccabile del virtuoso austriaco Thomas Zehetmair, senza dubbio tra i migliori solisti in circolazione, queste sei composizioni bachiane riprendono incredibilmente vita e forma in una chiave, ci pare di poter dire, del tutto moderna, decisamente contemporanea, pur Zehetmair utilizzando strumenti d’epoca. 

L’uso che Zehetmair fa degli spazi, delle pause, dei silenzi, la sua incisiva capacità di proiettare e risaltare, tutto sommato senza eccessiva enfasi, il suono nel mesmerico ambiente sonoro; la sua accorta e sostenuta dilatazione dei tempi, a discapito della vivacità ritmica (che rimane intrinseca), e degli avvolgenti gruppi accordali, dei luminosi ed iperbolici spettri armonici; il suo procedere prevalentemente astratto, apparentemente disancorato da specifici riferimenti ambientali o coreutici, armonioso ed asciugato al tempo stesso, ci sembrano tutti elementi degni di una dotta, aggiornata, consapevole, postmoderna rivisitazione. 

Peccato solo per un pizzico di freddezza o accademica austerità in più, che con rammarico ci sembra di aver registrato. Eccezionale comunque.  

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