PUNKT, più di un festival
Reportage dal PUNKT Festival di Kristiansand, tra live remix e idee della musica che sarà
Definirlo un festival di musica è riduttivo: PUNKT è una concentrazione di creativa progettualità – trasversale a musica, sound design, elettronica, arte, multimedia e seminari a 360°. Si è data appuntamento negli ultimi quattordici anni nella “piccola” Kristiansand, e ogni volta ha dato vita, nell’arco di pochi giorni, a qualcosa di unico e irripetibile.
Sfogliando i poster che dal 2005 a oggi raccontano le edizioni passate e introducono a questo quindicesimo anniversario si coglie, subito, l’anima di questo hub creativo. Una visione artistica – quella dei due direttori artistici Jan Bang e Erik Honorè – molto aperta e multidisciplinare, grazie anche allo stimolo di autentiche stelle internazionali (ospiti, artisti in residenza, curatori) che hanno allargato e dato nuove profondità all’anima pulsante del festival.Chi non conosce PUNKT potrà certo farsene un’idea scorrendo i nomi degli artisti in cartellone, ma non potrà coglierne l’essenza, la natura profonda, perché Punkt è estraneo al tipico “circolo” dei tour estivi dei festival jazz, poco interessato a fotografare il passato e il presente e molto attento, invece, a progettare il futuro.
Punkt è estraneo al tipico “circolo” dei tour estivi dei festival jazz, poco interessato a fotografare il passato e il presente e molto attento, invece, a progettare il futuro.
Nato nel 2005 per impulso dei due direttori, e partendo dal concept del Live Remix da loro sviluppato all’Alpha Room dell’Agder Teater, in quattordici anni Punkt è diventato un linguaggio vero e proprio, un verbo da condividere, un codice da divulgare, un germe da diffondere sempre più… Perché questo bacillus ha radici profonde, ma è anche, per fortuna, straordinariamente contagioso.
Ma veniamo alla musica di questa edizione 2019: due giornate dense, che hanno visto gli artisti esibirsi su diversi palchi: dal “classico” club Kick Scene alla Cattedrale cittadina passando per il sontuoso Kilden (auditorium sede dell’orchestra sinfonica locale) e al Sørlandet Art Museum.
Diversi e sempre interessanti i seminari mattutini curati dall'inglese David Toop e tenuti, tra gli altri, dal compositore Dai Fujikura, dall’editrice Eva Prinz con Thurston Moore, ma anche Mitchener, Camille Norment e Daniela Cascella.
Le stelle che non hanno deluso
Thurston Moore era la stella più attesa di questa quindicesima edizione, e ad accompagnarlo c’erano Deb Googe (già My Bloody Valentine), James Sedwards e Jem Doulton. Thurston dirige la band senza mai lasciarsi cullare dalla melodia – non appena ti pare si stia facendo spazio, ecco un taglio netto; e si passa repentinamente ad altro. Un trascinatore, che con sapienza orchestrale conduce il pubblico in una trance sonora a cavallo tra rock, noise e punk. Una suite unica di grande effetto.
Ma la serata non è finita al Kick Scene, e sul retro palco attaccano i Supersilent (Ståle Storløkken, Helge Sten e Arve Henriksen), che remixano la stella della serata e non deludono, anzi, danno vita a qualcosa di unico: magma che ribolle e scorre come lava durante un’eruzione. Atmosfere scure e densissime in cui Henriksen si alterna tra batteria, tromba e voce, mentre Sten e Storløkken si scontrano e intersecano generando tessiture a elevata densità con un interplay fuori dal comune. Insomma, il finale di serata è di quelli col botto.
La magia della Cattedrale
Il tempio cittadino ci ha regalato alcune delle migliori performance del festival fin dall’apertura, entusiasmante, del sabato pomeriggio: Ståle Storløkken all’organo, un set breve ma intenso, caratterizzato da grande drammaturgia e atmosfere torbide e scure e, qua e là, spiragli di luce che aprono alla speranza.
Poi è stata la volta di Trondheim Voices, con la giovane new entry Natali Abrahamson Garner: nove vocalist spericolate e con un apparato vocale particolarmente dotato, in grado di raccogliere la sfida di due guastatori come Ståle Storløkken e Helge Sten (Supersilent), autori della composizione Folklore. Cluster microtonali dall’effetto potente e appassionante per una performance al centro della musica contemporanea, giocata su sfumature e guizzi costanti tra il canto gregoriano sussurrato e l'uso di bordoni noise, campanelli...
Chiusura di serata perfetta con la rilettura del set di Steve Tibbets e Marc Anderson – acustico e speziato, ma davvero troppo statico – da parte del dream team del Live Remix al completo: Arve Henriksen, Eivind Aarset, Jan Bang e Erik Honoré. Bang e Honoré hanno colto e smontato alcune tessere del mosaico (campionando la chitarra acustica di Tibbets e le percussioni di Anderson) per intesserle poi con il timbro inconfondibile della tromba di Arve Henriksen e la chitarra elettrica di Eivind Aarset: il risultato è stato un mosaico nuovo, che pure manteneva forti radici nel set che li aveva preceduti.
Live Remix...
Quest’anno a funzionare particolarmente sono stati proprio i remix, in alcuni casi autentiche perle. Sidsel Endresen e Jan Bang hanno ridato luce e visione alla composizione Shamisen Concerto del giapponese Dai Fujikura. Ispirandosi al suono dell'orchestra sinfonica e di uno strumento giapponese, lo shamisen, i due hanno saputo creare paesaggi astratti e visionari. Alcuni passaggi struggenti della bella composizione di Dai Fujikura hanno servito un assist perfetto a Bang, che ha saputo coglierli e rilanciare la sfida a quella che, in Norvegia e non solo, è la regina dell'improvvisazione.
...e non solo
Il chitarrista e compositore Kim Myhr ha presentato il progetto You | me (pubblicato dall’etichetta Hubro) con quattro chitarre (Kim e Adrian Myhr, Dave Stakenas e Daniel Meyer Grønvold) e tre percussioni (Tony Buck, Ingar Zach e Michaela Antalová). Una cascata di suoni controllata e costituita da voci tutte calibrate e originali; un buon progetto, molto rappresentativo dell’estetica di Myrh.
A seguire, sempre sul palco dell’auditorium Kilden, si è esibito il trio Rymden, costituito dal pianista norvegese Bugge Wesseltoft e dagli svedesi Dan Berglund e Magnus Öström (già basso e batteria del trio EST, con il compianto pianista Esbjörn Svensson). Senza entusiasmare, il trio manda in scena un bel set, in cui tengono banco soprattutto le straordinarie doti melodiche al piano e il groove alle tastiere di Wesseltoft, e basato in gran parte sul recente album di debutto Reflections & Odysseys (Jazzland).
Il loro concerto è poi remixato da Nils Petter Molvær, Jan Bang, Eivind Aarset, Erik Honoré e Dai Fujikura: una bella “ricomposizione” che conferma la bontà della formula del Remix.
Peccato essersi persi i concerti del giovedì con Azkadenya (Sidsel Endresen / Vilde & Inga), Dark Star Safari e soprattutto l’Ensemble Modern con Jan Bang, ma pur con queste lacune mi sento di dire che Punkt Festival continua a regalare esperienze toccanti e, quel che più conta, grande ispirazione per la musica che sarà.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
A ParmaJazz Frontiere il rodato duo fra il sax Evan Parker e l'elettronica di Walter Prati
Il Bobo Stenson Trio ha inaugurato con successo la XXIX edizione del festival ParmaJazz Frontiere
Si chiude la stagione di Lupo 340 al Lido di Savio di Ravenna, in attesa di Area Sismica