Più di 300 operatori da tutta Europa arriveranno a Novara per la European Jazz Conference, dal 12 al 15 di settembre 2019, e la città piemontese sarà per tre giorni la capitale del jazz continentale, e polo di attrazione per musicisti e operatori dall’Italia e non solo.
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Abbiamo colto l’occasione della European Jazz Conference per porre a 8 direttori e direttrici artistiche europee 5 domande sul proprio lavoro e sulla propria visione. Si tratta di Pierre Dugelay (Le Périscope – Lyon, Francia), Sunna Gunnlaugs (Reykjavik Jazz Festival, Islanda), Emily Jones (Cheltenham Jazz Festival, UK), Kenneth Killeen (12Points, Irlanda), Martyna Markowska (JazzArt Festival – Katowice, Polonia), Jan Ole Otnaes (Victoria Nasjonal Jazzscene – Oslo, Norvegia), Frank van Berkel (BIMHUIS – Amsterdam Olanda) e Wim Wabbes (Handelsbeurs – Gent, Belgio).
Una questione che tormenta molti musicisti italiani, e molti organizzatori, è quella della visibilità all’estero: se l’Italia accoglie spesso musicisti dal resto d’Europa, molti musicisti italiani lamentano difficoltà a “uscire” dai confini nazionali. È una questione di “infrastrutture” arretrate in Italia, o di linguaggio non sintonizzato con il resto del continente? Per l'ultima puntata (qui, qui, qui e qui le puntate precedenti) abbiamo chiesto ai nostri curatori che cosa sanno del jazz in Italia.
Cosa conosci del jazz italiano e quali sono le tue impressioni a riguardo?
Pierre Dugelay (Lione): «Ne parlavamo recentemente con dei colleghi francesi: la nostra visione del jazz italiano è scarsa e sappiamo poco di quello di nuovo che si muove sulla scena. Mi sembra che i musicisti italiani non siano ben programmati in Francia, qualche anno fa forse di più, ma sono pronto a conoscere nuovi artisti italiani e a rinfrescare questa mia idea».
«La nostra visione del jazz italiano è scarsa e sappiamo poco di quello di nuovo che si muove sulla scena».
Sunna Gunnlaugs (Reykjavik): «Sono stata una grande ammiratrice di alcuni musicisti italiani per molto tempo e non ho mai perso di vista l’idea che il jazz italiano sia di altissima qualità».
Emily Jones (Cheltenham): «Oltre a conoscere i musicisti italiani più famosi come Enrico Rava, la mia principale esperienza “italiana” è stata proprio a Novara, al festival di due anni fa, e l’ho trovata molto stimolante. Mi è rimasta l’impressione che il jazz sia in fondo parte di un apprezzamento globale della cultura in Italia, dal cibo al design alla musica classica».
«Mi è rimasta l’impressione che il jazz sia in fondo parte di un apprezzamento globale della cultura in Italia, dal cibo al design alla musica classica».
«I musicisti italiani che ho potuto ascoltare in quell’occasione erano ottimi, spesso in collaborazione con musicisti internazionali e esibendosi in spazi originali e inusuali. Il lavoro che recentemente sta facendo I-Jazz conferma la qualità e il supporto e sono fiduciosa che sentiremo presto altre cose belle da musicisti italiani. Alcuni studenti di Siena Jazz hanno inoltre suonato al nostro festival, all’interno di un programma di scambio e erano davvero promettenti».
Kenneth Killeen (Irlanda): «Al di fuori dei nomi più conosciuti, Enrico Pieranunzi, Enrico Rava, Paolo Fresu, eccetera, ho familiarità con il jazz italiano prevalentemente attraverso le domande che arrivano ogni anno, abbastanza numerose, per il 12 Points Festival. Tra gli artisti che finora sono stati scelti ci sono Giovanni Guidi, Francesco Orio, Luca Aquino, Enrico Zanisi, Francesco Diodati, Livio Minafra e, nel 2019, Filippo Vignato con il suo trio. La musica mi sembra fiorente».
«La musica mi sembra fiorente».
Jan Ole Otnaes (Oslo): «Mi sembra che la scena italiana sia forte, ricca di ottime band e musicisti. Conosco il jazz italiano da molto tempo, dapprima con artisti come Rava, Ambrosetti, Trovesi, poi i vari Bollani, Petrella, Guidi, Marcotulli, Fresu eccetera. L’anno scorso sono stato ospite a NovaraJazz e ho ascoltato artisti interessanti che non conoscevo, come Filippo Vignato. Nelle serate Unheard al Victoria abbiamo anche recentemente ospitato due promettenti studenti di SienaJazz».
Frank van Berkel (Amsterdam): «L’Italia supporta una vasta scelta di giovani talenti, con un senso dell’innovazione e della qualità artistica ben riconoscibile. La qualità tutta italiana di portare un messaggio significativo è il segno che l’arte ha uno scopo e, non dimentichiamo, l’Italia in questo ha buon gusto, come nel cibo e nel resto…».
Wim Wabbes (Gent): «L’Italia ha una forte tradizione jazz, con musicisti carismatici come Enrico Rava, Stefano Bollani, Gianluca Petrella, Paolo Fresu, Pino Minafra, Gianluigi Trovesi o la Italian Instabile Orchestra che è una delle mie big band preferite. Ammetto di conoscere meno i musicisti più giovani, quello che ascolto mi sembra a volte un po’ più tradizionale rispetto alle tendenze europee, ma posso sbagliarmi e non vedo l’ora di conoscerne di più…».
«Quello che ascolto mi sembra a volte un po’ più tradizionale rispetto alle tendenze europee, ma posso sbagliarmi».