Per raccontare Pinnacle, primo disco di Buster Williams uscito nel 1975, bisogna fare un passo indietro lungo otto anni. La primavera che ci interessa è quella del 1967, la città dove tutto ha inizio Los Angeles. È qui che da un bel pezzo ormai il contrabbassista nato a Camden, New Jersey, ha deciso di trasferirsi per seguire la carriera in ascesa di Nancy Wilson, della quale è diventato l'ombra sia in studio che dal vivo.
Il lavoro abbonda a due passi dalla fabbrica dei sogni, Hollywood ha sempre fame di turnisti capaci, e gli ingaggi non mancano per un accompagnatore che a soli 25 anni si è già fatto un nome come specialista in cantanti: da Betty Carter a Dakota Staton e Sarah Vaughan, che già nel 1963 se l'era portato in Europa per un lungo giro di concerti passato prima da Copenhagen - dove grazie a Quincy Jones un paio di serate erano finite sul doppio Sassy Swings the Tivoli! - e poi da Juan-les-Pins, nello stesso albergo che ospitava il quintetto di Miles Davis, incontro fugace ma decisivo (la band è quella del Columbia Miles Davis in Europe, con George Coleman al sax tenore).
A certe proposte infatti non si può resistere, e quando Miles nella già citata primavera del 1967, alla vigilia di una serie di esibizioni su e giù per la West Coast, lo sceglie per sostituire l'impegnatissimo Ron Carter, l'ex colonna della band di Gene Ammons e Sonny Stitt non può che accettare. La telefonata galeotta gli arriva dall'amico Herbie Hancock, con il quale si è già instaurato un legame speciale, mentre il battesimo del palco si tiene ad aprile al Both/And di San Francisco.
Seguono giornate memorabili: a contatto con Davis, Hancock, Tony Williams e Wayne Shorter c'è parecchio da imparare anche per un jazzista solido e completo. L'ultimo arrivato passa anche dalla prova dello studio, partecipando a una session che viene poi accantonata (resta una versione alternativa della "Limbo" destinata alla scaletta di Sorcerer); cinque settimane in tutto, che si chiudono con l'offerta di Miles di entrare stabilmente nel suo giro e con il no di Williams che per il momento non se la sente di rinunciare alla sicurezza della West Coast (a raccontarlo, in più di un'intervista, è lo stesso contrabbassista, parlando di unico quasi-rimpianto della sua lunghissima carriera).
L'unico rimpianto della lunghissima carriera di Buster Williams: aver detto di no a Miles Davis.
Quando però nell'ottobre del 1968 matura l'inevitabile decisione di tornare dalle parti di New York, il momento è perfetto per incrociare di nuovo i passi della band in costante evoluzione di Miles e soprattutto di Herbie Hancock, che sta lavorando a qualcosa di suo e ha bisogno di un compagno di avventura meno volatile di Ron Carter.
Il resto è storia: il sì di Williams e la nascita del primo nucleo del sestetto Mwandishi, termine swahili che significa il compositore, l'autore, e che Hancock adotta come pseudonimo un bel po' prima che il gruppo, dopo un vorticoso susseguirsi di uscite e di ingressi, raggiunga l'assetto definitivo nell'autunno del 1970, quando anche i nomi degli altri musicisti vengono ripensati in swahili: Jabali (Billy Hart alla batteria), Mganga (Eddie Henderson alla tromba), Mwile (Bennie Maupin a sassofoni, clarinetti e flauti vari), Pepo Mtoto (Julian Prestier ai tromboni) e Mchezaji (Buster Williams al basso).
The Prisoner, pubblicato ancora dalla Blue Note, e Fat Albert Rotunda, la prima delle tre uscite targate Warner Bros, i dischi della gestazione; l'omonimo Mwandishi, Crossings e Sextant, che segna il passaggio alla Columbia, quelli della maturità, della messa a fuoco definitiva dell'idea di suono che ha in testa Herbie Hancock; un ponte tra la madre Africa e la figlia perduta New York, tra il funky, il soul e la psichedelia black, tra l'estetica rock-fusion, l'astrattismo free e le intuizioni del profeta Miles.
Cruciale anche l'esperienza di Kawaida, disco attribuito al batterista Albert Heath ma poi diventato una specie di classico per la presenza di Herbie Hancock e Don Cherry; una creatura strana, una rivendicazione politica anche in questo caso in lingua swahili, una celebrazione collettiva dell'orgoglio panafricanista: tra piccole percussioni in stile AACM, strumenti etnici e scampoli di modernità urbana.
Le note di copertina le firma Amiri Baraka, che parla di rivoluzione applicata all'arte e rende omaggio a uno dei padri della coscienza afroamericana, l'attivista Maulana Kalenga, mentre i testi sono del percussionista James Mtume, altra figura al centro delle mille strade del jazz anni Settanta.
C'è anche Buster Williams, ovviamente, che ascolta e prende nota in vista dell'esordio da leader.
L'occasione gliela offre la Muse Records di Joe Fields e Don Schlitten nell'estate del 1975, a più di sei anni dalla prima chiamata di Miles, quando ormai il sestetto Mwandishi ha ceduto il posto al funky futurista degli Headhunters. In studio per le session di Pinnacle ci sono anche Billy Hart alla batteria, altro reduce dell'epopea Mwandishi, e alla tromba Woody Shaw, che Hancock aveva adocchiato e coinvolto prima di virare su Eddie Henderson. Insomma, si respira aria di casa. Con Earl Turbinton che segue le orme di Bennie Maupin al clarinetto basso e il tastierista Allan Gumbs che recita la parte che fu di Herbie al pianoforte, al piano elettrico e al sintetizzatore. Completano i ranghi il sax soprano e i flauti di Sonny Fortune, le percussioni di Guilherme Franco e la voce di Suzanne Klewan.
Cinque gli originali in scaletta di quella che in molti considerano, non a torto, una specie di opera postuma del sestetto Mwandishi, il quarto disco non ufficiale. Un'assonanza evidente fin dall'iniziale "The Hump", che decolla sulle ali funky del basso elettrico e della batteria prima di affidarsi alle cure del sax soprano e del clarinetto. Ma c'è spazio anche per le proverbiali intro in solo del titolare del disco, che apre la strada a “Noble Ego” con una sortita delle sue, preludio a un brano decisamente più jazz che tira a bordo il pianoforte squillante di Allan Gumbs, improvvisatore dotato di un gusto impeccabile, e per il tema - o qualcosa di simile - un piccolo coro di voci guidato da Suzanne Klewan.
Meno concitato il clima nell'omonima “Pinnacle”, al centro della quale splende un meraviglioso Woody Shaw, mentre alle voci è affidato il compito di strumenti portanti. Chiudono il programma la dolce dedica alla figlia “Tayamisha” e soprattutto il quarto d'ora di “Batuki”, introdotto di nuovo dai ricami virtuosistici del basso e capace poi di evocare il fantasma dell'ellingtoniana “Caravan” con un tema scandito all'unisono da flauto, sax soprano e piano elettrico.
Ce n'è più che a sufficienza per il meritatissimo titolo di classico perduto della diaspora davisiana. Al quale Williams regalerà un paio di fratelli minori (Crystal Reflections con Roy Ayers e il già classicheggiante Heartbeat) prima di iniziare a frequentare sentieri meno avventurosi. Anche perché nel frattempo il caos panteistico degli anni Settanta si è disciolto nella restaurazione del decennio successivo: il jazz ha rimesso la giacca, e il maestro Williams è pronto a diventare un'istituzione.
Il disco
Titolo: Pinnacle
Artista: Buster Williams
Data di registrazione: 6, 7, 11 e 14 agosto 1975
Data di uscita: 1975
Etichetta: Muse Records
Rarità (da 1 a 5): 3
Purtroppo la prima stampa in vinile di Pinnacle, come quasi tutte le uscite più appetitose del catalogo Muse Records, ha raggiunto quotazioni criminali; e anche la seconda tiratura viaggia a prezzi non certo amichevoli. Ne esiste una versione in CD degli anni Novanta ma non è così facile da reperire (e si rischia comunque di dover sborsare una cifra eccessiva). Restano i meandri della rete e poco altro: ecco perché c'è bisogno urgente di una ristampa come si deve.
Un libro
Non ancora tradotto in italiano, ma necessario se siete interessati a Herbie Hancock: You'll Know When You Get There del pianista e storico del jazz Bob Gluck, autore anche del bellissimo The Miles Davis Lost Quintet and Other Revolutionary Ensembles (pubblicato in Italia da Quodlibet con il titolo Miles Davis, il quintetto perduto e altre rivoluzioni).
Un curatissimo e approfondito saggio che esplora il periodo Mwandishi e più in generale la carriera di Herbie Hancock nel lasso di tempo che va dal 1968 al 1973, dalla nascita del sestetto, la prima touring band del pianista di Miles Davis, al passaggio di testimone con gli Headhunters.