Plantasia, l'utopia botanica di Mort Garson

La Sacred Bones ristamperà il bizzarro Mother Earth's Plantasia, concept ambientalista del 1976 di Mort Garson

Mort Garson - Plantasia
Mort Garson
Disco
pop
Mort Garson
Mother Earth's Plantasia
Sacred Bones
2019

Di vite strambe e pazzesche la storia della musica ne ha raccontate parecchie. Convertiti e reietti, professionisti dell'eclettismo, sommersi e salvati, cavalieri oscuri, meteore accecanti, resuscitati e visionari. Ma di vite strambe e pazzesche come quella di Mort Garson (all'anagrafe Morton G. Garson), canadese di nascita, californiano per vocazione, pianista, compositore, autore di sigle televisive, colonne sonore, canzoni che altri hanno portato in vetta alle classifiche, pioniere della musica elettronica e tra i primissimi adepti di Robert Moog, non ce ne sono molte da raccontare.

Pensate che stia esagerando? Beh, vi sbagliate. E di molto. 

Quanti musicisti conoscete che hanno arrangiato la versione di “Guantanamera” del trio The Sandpipers, schizzata fino al numero 9 della Billboard Hot 100 nel '66, e tre anni dopo sono stati scelti dalla CBS per sonorizzare la missione Apollo 11 e lo sbarco sulla luna?

Quanti che hanno composto una messa nera pubblicata con lo pseudonimo di Lucifer dopo essere stati in studio a cucire violini e viole addosso alle divine Doris Day, Julie London e Nancy Wilson?

Quanti che in pieno Sessantotto hanno dato alle stampe una parodia hippie de Il mago di Oz (The Wozard of Iz) e tempo una manciata di primavere si sono portati a casa un Grammy lavorando a una favola musicale per bambini (Il piccolo principe) con Richard Burton, Claudine Longet (altra vita stramba e pazzesca, ma ve la racconterò un'altra volta) e John Carradine?

Nessuno, immagino. E se ancora non vi basta, aggiungete un musical su Marylin Monroe, una serie di dodici suite dedicate ai segni dello zodiaco (uscite in blocco nel 1969) e il botto clamoroso di “Our Day Will Come”, tormentone dei primi anni Sessanta ripreso anche da Amy Winehouse. Mica male, eh? Non a caso negli ultimi tempi il canadese volante Mort Garson (scomparso nel gennaio del 2008) è diventato oggetto di un culto sempre più diffuso, con un numero crescente di devoti pronti a contendersi a suon di dollari prime stampe e riedizioni più o meno clandestine.

Poco da stupirsi dunque che la benemerita Sacred Bones Records (etichetta di Brooklyn che Zola Jesus, John Carpenter e Trent Reznor, tra gli altri, chiamano casa) abbia deciso di ristampare in vinile (rigorosamente verde), e per la prima volta con tutti i crismi dell'ufficialità, Mother Earth's Plantasia, concept proto-ambientalista del 1976 che è forse il più strambo e pazzesco di tutti i dischi strambi e pazzeschi di Garson. «Warm earth music for plants... and the people who love them», recita il sottotitolo; musica per le piante e per chi le ama. Per aiutarle a crescere sane e forti, si promette in copertina, con tanto di manualino del perfetto giardiniere scritto da due botanici e illustrato magnificamente da Marvin Rubin. Il disco è già in pre-order e sarà in vendita da giugno.

«Un Burt Bacharach in overdose di pulviscolo stellare e clorofilla».

Dieci le tracce, cinque per lato; trionfo di sintetizzatori al confine fluttuante e impalpabile tra exotica, easy listening, lounge, space-pop, library music ed elettronica di ricerca. Dal Moroder-sound dell'iniziale “Plantasia”, alle cadenze robotiche di “Baby's Tears Blues”, un po' Kraftwek e un po' Umiliani (difficile non correre con la mente a dischi come To-Day's Sound o Psichedelica); dalla bucolica “Ode to an African Violet”, con i Kraftwerk di nuovo a fare capolino tra le acacie e i baobab, alla morriconiana “Concerto for Philodendron and Pothos”; dalla sofficissima ”Rhapsody in Green”, perfetta per un Haruomi Hosono con la fissa per i bonsai, alle scanzonate “Swingin' Spathiphyllums” e “You don't Have to Walk a Begonia”, che paiono uscite dalla penna di un Burt Bacharach in overdose di pulviscolo stellare e clorofilla.

Andate a colpo sicuro: gerani, basilico e peonie ringrazieranno.

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