Solange torna a casa

When I Get Home è il nuovo album di Solange Knowles, un omaggio a Houston che sembra definire nuove vie per il suono della black music

Solange - nuovo album
Disco
pop
Solange
When I Get Home
Columbia
2019

Dopo le voci che si sono rincorse nell’ultima settimana, ecco When I Get Home, il nuovo disco di Solange Knowles a tre anni di distanza dal fantastico A Seat at the Table, e anche questa volta si vola alto.

I tweet si erano fatti insistenti, la stessa Solange aveva alimentato i rumours aprendo una pagina sul sito BlackPlanet con frammenti di video e la frase An exploration of origin, e inoltre il Black History Month volgeva al termine: arriva o non arriva? È arrivato, il 1° marzo è stato il giorno di When I Get Home, l’atto d’amore di Solange per Houston, la sua città natale.

Nel 1995, alla cerimonia dei Source Awards, André 3000 degli Outkast pronunciò una frase emblematica: «Il Sud ha qualcosa da dire». Bene, ventiquattro anni dopo Solange riafferma quella rivendicazione: il Sud ha ancora qualcosa da dire ed è indispensabile starlo a sentire. 

Provate a scorrere la lista di chi ha contribuito a dare vita ai trentanove minuti di questo disco, c’è da rimanere a bocca aperta: Panda Bear, Chassol, Pharrell, Tyler The Creator, Earl Sweatshirt, Raphael Saadiq, Playboi Carti, The-Dream, Sampha, Gucci Mane, Steve Lacy, e probabilmente ne dimentico qualcuno, ma la frase all lyrics and melodies written by Solange Knowles è lì a ricordarci che lei è un’autrice che non ha bisogno di risorse autoriali esterne per mettere insieme un disco. Diciannove tracce (quattro sono intermezzi vocali) che spesso finiscono una dentro l’altra e quasi totale assenza di ritornelli: che disco è questo? 

È un disco sfuggente, fatto più di atmosfere che di canzoni compiute, a volte si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad abbozzi di composizioni (la stessa che ho provato ascoltando l’ultimo disco di Earl Sweatshirt), il tutto però con un suono stratosferico, destinato a diventare un punto di riferimento per la black music e non solo del prossimo decennio.

«È jazz fino al midollo ma contiene anche elementi di elettronica e basso e batteria hip-hop perché voglio che la vostra cassa crepiti».

È un omaggio al suono chopped & screwed tipico di Houston, c’è il sapore reggae di "Binz", c’è il funk di "Way To The Show", c’è la celebrazione della cultura afro-americana di "Almeda", una delle vette della raccolta con l’intervento finale del mumble rap di Playboi Carti, c’è quella meraviglia di "Stay Flo", con la sua base ipnotica che sembra ottenuta suonando cristalli di Boemia, c’è la voce di Solange che cambia così spesso registro che nell’iniziale "Things I Imagined" non ci rendiamo neanche conto che ripete la stessa frase per ben sedici volte.

Possiamo tranquillamente affermare che When I Get Home è la versione di Solange di un album soul con momenti tremendamente moderni, una ridefinizione del concetto di album come forma d’arte; gli ultimi mesi ci hanno portato i dischi di Tierra Whack, di Earl Sweatshirt e questo di Solange: dischi concettualmente innovativi che lasciano intravedere un futuro in via di sviluppo.

When I Get Home è il degno successore di A Seat At The Table, l’attesa non è andata delusa.

P.S. il 3 marzo, la presentazione del disco è cominciata, e non avrebbe potuto essere altrimenti, da Houston con When I Get Home, A Special Album Experience: nove incontri durante i quali, tra le altre cose, è stato presentato When I Get Home – A Texas Film, un video-film di 33 minuti (lo si trova solo su Apple Music).

«Con il disco precedente avevo molto da dire. Con questo disco nuovo ho molte sensazioni da esprimere. Le parole sarebbero state riduttive per ciò che avevo bisogno di provare ed esprimere. Sta tutto nei suoni».

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