Mozart secondo Federico Maria Sardelli

Alla Fenice di Venezia Sardelli dirige due opere giovanili mozartiane, Il sogno di Scipione e Il re pastore: l'intervista

Federico Maria Sardelli dirige Mozart alla Fenice
Federico Maria Sardelli
Articolo
classica

Flautista, compositore, fondatore dell’ensemble Modo Antiquo e direttore tra i più richiesti per il repertorio settecentesco, Federico Maria Sardelli è sul podio in questi giorni al Teatro la Fenice per rileggere due opere giovanili mozartiane, Il sogno di Scipione e Il re pastore, entrambe su libretto di Pietro Metastasio, presentate con nuovi allestimenti che si avvalgono della regia di Elena Barbalich  e Alessio Pizzech.

Livornese, classe 1963, Sardelli incarna un tipo di intelligenza trasversale, capace di coniugare percorsi conoscitivi e creativi multipli. Allievo del padre Marc, pittore, affianca infatti l’attività di musicista a quella dell’artista figurativo, con particolare attenzione al ritratto e all’acquaforte.

Fin dall’adolescenza partecipa a esposizioni e concorsi (a quindici anni viene  eletto membro ad honorem dell’Accademia delle Arti dell’Incisione), è una delle firme storiche del mensile satirico Il Vernacoliere ed è autore di centinaia di tavole, illustrazioni di libri e  disegni umoristici. Vi è poi l’interesse letterario, coltivato attraverso la scrittura di romanzi e saggi critici.

Un artista a tutto tondo, dunque, che non a caso proprio nel teatro trova modo di esplicare tutta la complessità del suo talento.

Lo abbiamo incontrato dopo le prime delle due opere mozartiane, un’occasione per entrare nel suo mondo interpretativo e nel laboratorio di ricerca che ha realizzato in queste settimane insieme a musicisti, registi e scenografi.

La versione che avete proposto del Sogno di Scipione restituisce una lettura personale del libretto metastasiano a opera del giovane salisburghese. L’opera nasce con intento encomiastico, ma nega attraverso la propria libertà costruttiva l’idea imposta dalla funzione celebrativa.

«È vero. Mentre  il poeta cesareo si propone di realizzare non tanto un dramma per musica ma un lavoro paradigmatico di ammaestramento, una sorta di codice comportamentale del sovrano illuminato, capace di governare non secondo il capriccio della fortuna e la logica del potere, ma secondo le virtù della costanza, probità e rettitudine, Mozart, già a partire dalla  disposizione armonica delle arie, indica come soluzione ottimale quella capace di conciliare  l’armonia tra le due dee. Anzi, musicalmente si ritrovano nelle arie di Costanza tratti musicali che fanno pensare ai caratteri espressivi di Fortuna, a conferma di come esse rappresentino in definitiva due proiezioni interiori del carattere di Scipione».

Conferma questa vostra impostazione la presenza finale dei loro simboli, l’asta di Costanza e la sfera di Fortuna, e anche la scelta di iniziare il dramma presentando Scipione addormentato all’interno di un quadrato e un cerchio, immagine che rievoca l’uomo vitruviano, espressione di armonia ed equilibrio. 

«Un altro modo attraverso il quale Mozart cerca di apportare equilibrio per compensare la staticità del libretto consiste nel proporre arie molto lunghe, grazie alle quali è possibile scavare nella psicologia dei personaggi».

Questo teatro del sogno, che la regia di Elena Barbalich ha sottolineato avvalendosi anche di figure archetipiche, rappresenta una sfida  creativa avvincente, per un compositore appena adolescente.

«Elena ha lavorato con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia all’interno del progetto Atelier catalizzando e plasmando le loro energie. Ha utilizzato tutto lo spazio disponibile del palcoscenico, interpretato come una sorta di Wunderkammer, e ne è uscito un prodotto di grande eleganza visiva, nobiltà e chiarezza».

Il sogno di Scipione - Federico Maria Sardelli
Il sogno di Scipione (foto di Michele Crosera)

A ciò si coniuga la lettura musicale da lei proposta: affilata, inarcata su strutture chiare, brillanti, dinamiche e scolpita attraverso sapienti colpi di luce che esaltano l’orchestrazione. 

“Ho cercato di non forzare mai il testo, ma di dare rilievo a tutto ciò che Mozart con meticolosa cura vi inserisce. Non condivido la prassi esecutiva che tende a caricare le intenzioni espressive. Esistono varie sfumature di tinte e Mozart ci ha lasciato delle partiture molto dettagliate ove nulla è lasciato al caso. Se c’è uno sforzato spesso è collegato a una sillaba del testo, a un concetto o a una pittura musicale che l’autore vuole porre in rilievo. Negli anni Settanta e Ottanta si prediligeva una interpretazione a pennellate larghe, senza chiaroscuri. Nello stile settecentesco, espressione della mentalità illuministica, tutto deve invece secondo me apparire alla luce del sole, essere chiaro e intelligibile. Anche quando si aprono inaspettati squarci di furore nei quali i cieli azzurri e i toni rococò si lacerano per lasciare emergere il senso della morte, la paura, la passione».

«Non condivido la prassi esecutiva che tende a caricare le intenzioni espressive. Esistono varie sfumature di tinte e Mozart ci ha lasciato delle partiture molto dettagliate ove nulla è lasciato al caso».

«Ho scelto inoltre di non avvalermi di strumenti d’epoca, per questa occasione. Ritengo infatti che la musica antica possa venire realizzata con successo anche attraverso gli strumenti moderni, se vengono adoperati con intelligenza. La qualità nasce da un lavoro capillare di fraseggio e articolazione che riguarda anche le parti interne, non solo il canto».

Quale relazione intercorre tra Il sonno di Scipione e Il re pastore?

«Mentre Il sonno appartiene a un mondo tardo baroccheggiante e presenta elementi musicali riconducibili al primo Settecento, Il re pastore è un lavoro della maturità, che si inserisce nella pienezza della fase classica. Entrambi i libretti di Metastasio si rivolgono agli ambienti di corte e traggono origine da un intento maieutico. Come avverrà poi ne La Clemenza di Tito, il sovrano illuminato cerca di salvaguardare il bene di tutti anche nelle piccole cose e nella vita di tutti i giorni».

La lettura registica di Alessio Pizzech evidenzia però alcuni tratti violenti che animano il condottiero. Lo smantellamento del bus-capanna in cui vive Aminta appare come una forzatura, il suo ego ama sentirsi osannato, riconosciuto e lodato.

«In realtà il buon sovrano illuminista è ben lontano dal moderno ideale di democrazia. Egli decide tutto, cosa dare e cosa togliere. Non sono però del tutto concorde con l’idea di interpretare il personaggio di Alessandro come espressione di un potere tracotante e anche un po’ malvagio. In Metastasio egli agisce a fin di bene, pur nel suo potere assoluto».

Cosa vi aggiunge la musica di Mozart? La vostra interpretazione mi sembra evidenzi il tormento interiore di tutti i personaggi.

«Mozart si trova di fronte a un testo formidabile, psicologicamente caratterizzato, ricco di sfaccettature ove c’è già tutto in nuce. Tutti soffrono, si evolvono. Aminta, in primis, l’uomo che segue la natura, simboleggiata dall’albero che vive nel deserto della sua oasi e a cui si aggrappa». 

Re Pastore, Mozart - Federico Maria Sardelli
Il re pastore (foto di Michele Crosera)

Eppure quell’albero fiorisce solo alla fine, dopo il processo di crescita che lo porta a coniugare il dovere pubblico con quello privato. “Per cambiare i fati occorre cambiare mente e cuore”, ovvero coscienza etica e amore. In quel drammatico “E chi son io?” pulsa il dramma di una crisi identitaria da cui prende vita un percorso formativo che porta all’accettazione della propria responsabilità sociale. Aminta avrebbe potuto sposarsi fin dall’inizio, nonostante la differenza di classe che lo separa dalla nobile Elisa. La famiglia della futura sposa lo avrebbe accolto comunque, dunque la storia poteva concludersi fin dalle prime battute dell’opera. Ma il messaggio che Metastasio e Mozart desiderano veicolarci è che il ritiro nel privato non crea progresso. Il mondo bucolico idealizzato dall’Arcadia può essere inteso solo come punto di partenza per un benessere personale che diventa impegno per una felicità collettiva.

«In questa direzione si inserisce infatti anche la scelta di accendere la luce in sala prima della fine dello spettacolo. Un forte richiamo a uscire dalla finzione teatrale e a risvegliare la coscienza del pubblico di oggi. Ciò che accade sul palco è, per altri versi, ciò che accade anche oggi, nella nostra società».

Dunque un richiamo alla politica perché impari a coniugare la logica del potere con la gioia di tutti.

«Certo. Alessandro vive in un mondo abitato dagli intrighi e dalla sete di dominio, ma si sente appagato solo quando riesce a ricongiungere tutte le coppie che si amano. È affascinato dai sentimenti puri che animano Aminta ed Elisa e non si accontenta di ripristinare il diritto al regno del legittimo erede ma cerca di assecondare ogni desiderio di felicità  anche umana dei propri sudditi».

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