Le canzoni rap di Earl Sweatshirt
Dopo tre anni e mezzo di silenzio Some Rap Songs segna il rientro in grande stile di Earl Sweatshirt
Il kid Earl Sweatshirt è tornato e lo fa con un disco meravigliosamente imperfetto (o imperfettamente meraviglioso).
L’anno che sta per concludersi non è stato facile per Thebe Neruda Kgositsile (questo il suo vero nome), cominciato con la morte di suo padre Keorapetse Kgositsile, poeta e attivista politico, figura spesso assente nella vita di Earl ma ciononostante ingombrante, con cui ha intrattenuto rapporti il più delle volte conflittuali. Questo disco ha rappresentato uno strumento per l’elaborazione del lutto e per cercare di ricostruire a posteriori un rapporto: “Parlargli è allo stesso tempo simbolico e non simbolico, ma è davvero la fine della mia infanzia”.
C’era molta attesa intorno a questo disco. I fan chiedevano con insistenza nuova musica, arrivando a lanciare su Twitter la campagna #FreeEarl, e Earl cosa fa? Lo chiama Some Rap Songs, “alcune canzoni rap”, con understatement quasi suicida. Quindici canzoni piuttosto brevi con beat curatissimi, il mixing è torbido e confuso, Earl Sweatshirt impone il suono lo-fi nel prodotto di una major. Alle volte si ha l’impressione di ascoltare dei provini ma – ovviamente – non è così, è tutto voluto. Si comincia con “Shattered Dreams”, parte un loop pigro, e poi arriva lui a ricordarci perché ci eravamo innamorati delle sue rime otto anni fa (e lui di anni ne aveva solo sedici!), ai tempi del collettivo Odd Future.
Si va avanti con l’ascolto e si apprezzano i loop che potrebbero andare avanti all’infinito e la produzione sporca che però risulta elegante, mi verrebbe da dire sciatto-chic. Mentre scrivo, le canzoni si succedono rapidamente ma spesso le faccio ripartire, ne subisco totalmente il fascino, “The Mint” con Navy Blue ha un sample che è dinamite nera, “Bumping shoulders with the devil in disguise”, Earl ci sta mettendo il cuore e si sente, “non c’è una sola donna nera che io non possa ringraziare”, è “Azucar”, dedicata a sua madre, una sorta di ballata breve e dolce, “Veins” ha un sample che uccide (anche se il pezzo è fin troppo lo-fi), poi arriva la voce della madre di Earl, messa sopra l’audio del padre che declama una poesia (probabilmente una sorpresa preparata per suo padre che purtroppo non ha fatto in tempo ad ascoltarla), un momento forte, un ritratto di famiglia col beat.
L’album si chiude con “Riot”, uno strumentale, lo stesso modo di chiudere un disco adottato lo scorso anno dal suo vecchio amico Tyler, The Creator in Flower Boy.
A proposito di meravigliosa imperfezione, l’ascolto di questo disco mi ha fatto tornare in mente quando vidi per la prima volta Magnolia, il quasi capolavoro del 1999 del regista Paul Thomas Anderson: la sensazione è la stessa, un po’ di amaro in bocca per la perfezione a portata di mano ma solo avvicinata. Ciò non toglie che Some Rap Songs sia comunque un grande disco, la cui indubbia qualità mi sta costringendo da giorni ad ascolti ripetuti.