L’opera ha ancora qualcosa da dire? E allora liberiamola dal museo e facciamola parlare la lingua che tutti possono capire. Se al di là delle Alpi si tiene la rotta, anche nel nostro paese qualche timido segnale di novità si coglie dopo decenni di letargici concerti in costume. Si osa ancora poco ma, quando succede, i risultati ci sono e fanno ben sperare. L’Italia operistica si risveglia? Ecco il meglio dell'opera lirica dell'anno appena passato, il best of dell'opera 2018 con i 10 spettacoli da ricordare e – magari – riscoprire.
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1. Damiano e gli altri due
Rappresentano il meglio che abbia prodotto da anni l’asfittico paesaggio lirico italiano: Damiano Michieletto, Paolo Fantin e Carla Teti. Taglio rigorosamente anti norma, confezione originale, affondano il coltello nella drammaturgia e puntano direttamente all’anima del pezzo. Insomma, vogliono fare teatro e lo fanno davvero. Messo da parte un giovanile gusto per la provocazione, da tempo hanno voltato pagina per affrontare la materia drammatica con sguardo più maturo e tagliente. A Roma hanno rappresentato La damnation de Faust, non opera di Berlioz, come il copione di un coming-to-age esistenziale fra violenze e tentazioni. E un anno dopo a Venezia, hanno raccontato il Macbeth come l’incubo dentro di noi. Per entrambe hanno potuto contare su due direttori dallo sguardo ampio e profondo come Daniele Gatti a Roma e Myung-Whun Chung a Venezia. Due successi con qualche contestazione. Ma ogni fischio è una medaglia. La strada è quella.
2. Salome: è nata una stella a Salisburgo
Capita di rado ma capita. È in attività da quasi quindici anni, ma la straordinaria Salome della scorsa estate a Salisburgo l’ha consacrata come diva. Figlia d’arte – è figlia di Gegham, celebrato tenore nella Russia sovietica, e di Irena Milkevičiūtė, soprano noto in Lituania – ma Asmik Grigorian la gavetta se l’è fatta tutta e ha già avuto riconoscimenti anche importanti. Fra tutti l’International Opera Awards come migliore giovane cantante nel 2016. Vestita di bianco e così esile nella vastità di una scena quasi vuota ha conquistato davvero tutti e ha fatto scrivere a qualcuno che la sua Salome fa piazza pulita di tutte le Salome viste finora. Un’esagerazione?
3. Kurtág, finalmente
Non cambierà il corso musicale di questo secolo ma vi si insinua come una propaggine tardiva delle avanguardie del secolo passato. A 92 anni György Kurtág vince la scommessa contro chi non ci credeva più e regala al Teatro alla Scala il suo primo lavoro per il teatro musicale. Un classico come la fonte che lo ha ispirato, il suo Samuel Beckett. Fin de partie è il frutto di un lungo e meditato lavoro con la precisione di un artigiano che sfida il tempo. La scommessa la vince anche il sovrintendente Alexander Pereira, che più di ogni altro l’ha voluto e inseguito a Salisburgo prima e Milano poi.
4. Anche a Parma Verdi fa discutere
A Parma qualcosa si muove al Festival Verdi. Dopo gli anatemi preventivi e le polemiche sullo Stiffelio di Graham Vick della scorsa stagione, in questa il Trouvère si muove con i modi ieratici di Robert Wilson e piove sul Macbeth di Daniele Abbado. Verdi non è una salma da portare in processione nei giorni di festa e un festival, se è vivo, non è il sacello del santo. Succede dovunque e anche a Parma, finalmente, Verdi fa discutere.
5. Quel Faust di Gounod che sorprende ancora
Il 2018 è stato anche l’anno di Charles Gounod. Fra qualche recupero da un oblio secolare, il suo Faust vince comunque sempre e sorprende ancora. Quello di Parigi nella versione originale e inedita del 1859 con Christophe Rousset e i Talens Lyriques di sorprese musicali ne riserva moltissime. A Modena invece Faust si si muove su territori musicali più consueti, ma la sorpresa viene dalla complessità dello sguardo sul passaggio da Goethe a Gounod di Anagoor, il gruppo teatrale più innovativo del panorama teatrale italiano.
6. Il Rossini più bello? Quello dell’addio all’Italia
Rossini si porta con tutto. Ed è anche buono per ogni stagione, figuriamoci per il centocinquantenario. Dalla Cenerentola “eretica e rivoltosa, che sa maneggiare il coltello” della Lattuada ad Ancona a quella oliatissima della Bartoli per la riapertura del Teatro Galli di Rimini, alla prima volta dell’ottantottenne Pizzi nel Barbiere di Siviglia a Pesaro. L’anno tondo della morte di Gioachino Rossini non è passato inosservato ma l’occasione più speciale è stata la Semiramide integralissima del Teatro La Fenice, che ne custodisce la partitura come una reliquia. Nel luogo del suo addio all’Italia, un Rossini musicalmente insuperabile.
7. Muti e il Macbeth a Firenze cinquant’anni dopo
Riccardo Muti e il Macbeth di Verdi: una love story lunga come una vita. L’aveva fatto nei suoi fiammeggianti anni fiorentini al Maggio Musicale n. 38 con Enriquez regista e le due Ladies in alternanza Leylā Gencer e Gwyneth Jones. Era il 1975. È ancora Macbeth al Maggio Musicale n. 81 per festeggiare il mezzo secolo dal suo primo concerto a Firenze e lascia ancora il segno. Non apre più nuove strade ma consegna la saggezza interpretativa del vecchio maestro a chi verrà. È il gigante sulle cui spalle si può vedere ancora più lontano.
8. I ladri e le puttane del musical antico di Carsen
Se Robert Carsen si mette in testa di far rivivere la prima commedia musicale della storia c’è da aspettarsi di tutto. Salta a pié pari Brecht e Weill e proietta i miserabili della Beggar’s Opera di John Gay, in un popolo di spacciatori, puttane e ladri di smartphone che si muove una selva di cartoni pieni dei loro traffici. Il testo è riscritto da Carsen con Ian Burton per parlare la lingua dell’oggi ma la musica ha l’autenticità certificata da William Christie e Les Arts Florissants. Dalle macerie del parigino Théâtre des Bouffes du Nord lo spettacolo gira per l’Europa e tocca, per una volta puntuale, anche l’Italia grazie alle antenne sensibili di Spoleto.
9. Parigi ritrova il suo grand opéra
I francesi pudibondi sulla propria storia? Si fa fatica a crederci. Eppure ci sono voluti i 350 anni dell’Opéra di Parigi per riportare nel suo teatro uno dei capolavori di un genere francesissimo come il grand opéra. Nelle ultime stagioni Meyerbeer si era visto un po’ dovunque – tranne a Parigi, per 82 anni. Finalmente gli Huguenots tornano sulla scena dell’Opéra Bastille in una formula internazionale: un regista tedesco engagé con moderazione, un direttore italiano versato nel belcanto, un cast azzoppato da varie defezioni ma con più di una rivelazione, fra tutte l’americana Lisette Oropesa che fa la reine Margot. Ovviamente, un successo.
10. I miracoli berlinesi di Korngold
A scavare troppo sotto la superficie delle creazioni del great entertainer Korngold si rischia di trovare il nulla. A Berlino però se ne vedono due da antologia per l’alta qualità musicale e per la griffe di due maestri della scena contemporanea. La Deutsche Oper recupera la dimenticata Das Wunder der Heliane e la affida a Christof Loy, che ne fa un sontuoso e corale huis clos. Per la prima volta alla Komische Oper, Robert Carsen mette in scena la più nota Die tote Stadt e ne fa un saggio di virtuosismo teatrale che strizza l’occhio a diversi generi, dal thriller hitchcockiano al varietà, secondo la cifra più caratteristica del padrone di casa Barrie Kosky.