Khonnar di Deena Abdelwahed (InFiné) e Maghreb United di Ammar 808 (Glitterbeat): la nuova Tunisia elettronica. Ammar 808 sarà dal vivo in Italia giovedì 22 ottobre 2018 al Magazzino sul Po di Torino e sabato 24 al festival Transmissions di Ravenna.
Pubblicati a cinque mesi di distanza, due dischi portano in superficie vibrazioni provenienti dal sottobosco di Tunisi, frutto musicale del desiderio di emancipazione della gioventù locale, reso visibile otto anni fa dalla “rivoluzione dei gelsomini”.
Per primo in ordine cronologico è venuto Maghreb United, realizzato dal produttore Sofyann Ben Youssef sotto la denominazione Ammar 808 (numero riferito al leggendario modello di batteria elettronica marchiato Roland). Manovrando l’armamentario tecnologico e valendosi dei contributi in voce del connazionale Cheb Hassen Tej, di Sofiane Saidi (rappresentante del raï algerino di nuova generazione) e del marocchino Mehdi Nassouli (esponente della cultura gnawa e virtuoso del guembri, strumento che insieme al flauto chiamato gasba e alla sorta di cornamusa detta zukra dichiara lo stretto legame con le radici), ha dato forma a una creatura ibrida di straordinaria potenza comunicativa. Lo dimostra l’euforia vorticosa di “Boganga & Sandia”, ad esempio.
Oppure “Ain Essouda”, dove l’intreccio fra battimani ritmico, melismi da muezzin e pulsazione da rave toglie letteralmente il fiato.
Ma è l’opera nel complesso a non concedere tregua, dall’iniziale “Degdega” alla conclusiva “Zine Ezzine”.
Pressoché in simultanea con la doppia apparizione dal vivo di Ammar 808 in Italia è uscito l’album d’esordio di Deena Abdelwahed, tunisina anch’ella, benché da qualche anno residente in Francia e già affermata su scala europea: lo dimostrano le apparizioni in consolle al penultimo Sónar di Barcellona e al Berghain, mecca del clubbing berlinese, o in veste di autrice e produttrice in Plunge, secondo lavoro della svedese Karin Dreijer, alias Fever Ray.
Agisce pure qui la dialettica fra codici della tradizione e contemporaneità, come avviene in “Saratan”, con melopea arabeggiante inscritta in un’enigmatica cornice ambient, o nei due episodi che coinvolgono il poeta e performer egiziano Abdullah Miniawy (“Al Hobb al Mouharreb”, elegia sul destino dei migranti, e “Rabbouni”). L’aspirazione risulta tuttavia ancora più ambiziosa, tanto sul piano squisitamente sonoro (l’incalzante groove meticcio di “Tawa” o l’impressionante “5/5”, mentre in “A Scream in the Consciousness” si rasenta il confine dell’industrial) quanto nei versi cantati e recitati a proposito di argomenti tabù nel mondo islamico, dai diritti delle donne all’omosessualità, ossia il “lato torbido e oscuro” espresso nel titolo. Un disco coraggioso e al tempo stesso avvincente.