Laus Polyphoniae: atto finale

Laus Polyphoniae 2018, intitolata 1618 ǀ Before, si è conclusa celebrando i suoi venticinque anni con l’esecuzione integrale delle composizioni del Leuven Chansonnier e con L’Orfeo di Monteverdi.

Leuven Chansonnier
Leuven Chansonnier
Recensione
classica
Anversa
Laus Polyphoniae
16 Agosto 2018 - 26 Agosto 2018

La seconda settimana del Festival Laus Polyphoniae è iniziata all’insegna del liuto, con un interessante concerto diurno di Marc Lewon e Paul Kieffer che hanno suonato i propri strumenti con il plettro cercando di ricreare la prassi musicale quattrocentesca sulla base di intavolature, manoscritti e descrizioni che testimoniano l’adattamento per duo di liuti delle musiche dei più importanti compositori dell’epoca, arricchite da variazioni e colorature improvvisate con agile virtuosismo. Il concerto serale di Paul O’Dette ha poi rappresentato l’apoteosi dell’arte liutistica racchiusa dal titolo della raccolta delle musiche di Nicolas Vallet Le secret des muses, che insieme al Lord Herbert Cherbury's lute-book è stata la principale fonte di uno splendido programma nel quale l’artista ha sapientemente intrecciato le scuole liutistiche italiana, francese e inglese del periodo di transizione fra Cinquecento e Seicento, mostrando le loro reciproche influenze.

Nei giorni seguenti la parte più antica dell’ampio arco temporale abbracciato da questa edizione è risaltato nei tre concerti del 23 agosto, a cominciare dalla rivisitazione del poema epico anglosassone Beowulf recitato e cantato da Benjamin Bagby che accompagnandosi con la sua crotta ha esaltato le gesta dell’eroe facendo rivivere la figura del bardo narratore di arcaiche epopee e leggende. Anche le fonti dei due successivi concerti erano anglosassoni, e l’ensemble Dialogos diretto da Katarina Livljanić ha centrato il suo programma sul Tropario di Winchester, e sulla figura del vescovo Æthelwold narrata dal monaco cantore Wulfstan, mentre Trio Mediaeval ha eseguito parte delle musiche liturgiche e devozionali contenute nei Worcester Fragments, mettendo in evidenza quelle dedicate alla Vergine Maria anche attraverso  due composizioni contemporanee di Andrew Smith (1970). Una ulteriore bellissima incursione nella musica medievale è stata offerta dallo splendido concerto di Marc Mauillon, VivaBiancaLuna Biffi e Pierre Hamon della sera seguente  dedicato all’amor cortese cantato da trovatori e trovieri e culminato nella magistrale esecuzione del lungo lai di Machaut Loyauté que point ne delay.

Ma il vero protagonista del Festival è stato il Canzoniere di Lovanio, un prezioso codice sconosciuto fino a tre anni fa e riemerso dall’epoca d’oro della polifonia franco-fiamminga, che per via del suo formato tascabile rappresenta forse un dono d’amore e un oggetto pregiato da custodire come un piccolo breviario laico. L’aspetto più importante è che contiene dodici chanson anonime che non si conoscevano e che sono presenti solo in questa antologia, ed è anche per questa ragione che diversi autorevoli studiosi come Jane Alden, William Watson, Thomas Schmidt, Honey Meconi, Sean Gallagher, Fabrice Fitch, Scott Metcalfe, David Fallows, Paul Kolb, Adam Knight Gilbert, Sigrid Harris e Warwick Edwards, lo hanno analizzato da diversi punti di vista nel corso del colloquio internazionale che si è svolto tra il 23 e il 24 agosto nel Campus Carolus, una delle sedi dell’Università di Lovanio presenti ad Anversa. Nei giorni precedenti ne aveva parlato in una conferenza David Burn, che era stato contattato dal proprietario del codice alla fine del 2015 per avere un parere sul suo contenuto e valore, e che è stato il primo studioso che ha potuto sfogliare il prezioso documento e studiarne il contenuto. Nelle interessanti relazioni del colloquio il piccolo canzoniere è stato messo a confronto con gli altri codici provenienti dalla Valle della Loira, e sono stati messi in evidenza i temi ricorrenti dell’amore infelice e della fortuna presenti nei loro versi, e analizzate le forme della sua notazione e la disposizione delle tre parti vocali delle chanson; ma non si è giunti a nessuna conclusione sulla attribuzione certa delle dodici chanson uniche, ed è stata avanzata solo qualche cauta ipotesi, poiché nel codice non sono citati i nomi degli autori. Il momento più atteso dagli studiosi e dal pubblico è stato quello del penultimo giorno del Festival, quando quattro diversi ensemble hanno eseguito l’integralità delle sue cinquanta composizioni, a cominciare dalla prima, l’Ave Regina di Walter Frye, fino all’ultima Henry Phlippet che non figura nell’indice del manoscritto perché inizialmente non prevista e aggiunta alla fine della sua compilazione, e che fa parte delle dodici chanson fortunatamente ritrovate. Dalle diverse soluzioni interpretative ed espressive emerse dai quattro concerti eseguiti a poca distanza di tempo l’uno dall’altro sono emersi i caratteri e gli stili di ciascun gruppo, e soprattutto la straordinaria bellezza delle musiche presenti nel Canzoniere di Lovanio che come la maggior parte dei manoscritti di musica antica ha preso il nome dal luogo nel quale è conservato. Il primo eccellente concerto dell’Ensemble Leones diretto da Marc Lewon è riuscito a riassumere con grande chiarezza le qualità musicali del manoscritto, con le chanson accompagnate da lira da braccio, viola d’arco, arpa e liuto, e interpretate da diverse combinazioni tra le due voci femminili e le due maschili del gruppo, o dai soli strumenti. La staffetta tra i quattro gruppi è proseguita con il concerto di Park Collegium diretto per questa occasione da VivaBiancaLuna Biffi, e con quello esclusivamente vocale di Huelgas Ensemble diretto da Paul Van Nevel, per concludersi con il giovane Sollazzo Ensemble diretto da Anna Danilevskaia che ha rappresentato il tocco di originalità ricercato da questa nuova generazione di interpreti il cui concerto ha degnamente e felicemente concluso questa importante penultima giornata del Festival.

La conferma della qualità e della interessante sinergia tra il mondo della ricerca e quello della prassi musicale storicamente informata che caratterizza questa manifestazione è arrivata nella tarda mattinata di domenica 26 agosto, quando un gruppo di voci e di fiati che hanno partecipato alla Summerschool curata da Stratton Bull, Pieter Stas, Andrew Hallock, dell’ensemble vocale Cappella Pratensis, e il trombonista Wim Beku, di Concerto Palatino, coadiuvati dalla studiosa di notazioni antiche Valerie  Horst, hanno eseguito con notevole perizia il concerto saggio eseguito a partire esclusivamente dalla notazione originale delle composizioni di autori franco-fiamminghi accomunate dal fatto di essere state concepite per celebrare importanti eventi storici.

L’Orfeo di Monteverdi eseguito dal gruppo I Fagiolini e da The English Cornett and Sackbutt Ensemble diretti con grande discrezione da Robert Hollingworth ha concluso degnamente questa eccellente edizione di Laus Polyphoniae, grazie anche alla essenziale ed elegante mise en espace concepita da Thomas Guthrie, valorizzata dalla conformazione della sala storica del Bourla Theatre di Anversa. Nell’interpretazione dell’opera Hollingworth ha cercato di mettere in evidenza la concertazione vocale di stampo madrigalistico e di accentuare il pathos del secondo e del quinto atto facendo risaltare il dramma insito nella favola pastorale. La sottolineatura degli accenti dolenti del canto, con la sobrietà del basso continuo, ha reso quasi palpabile la pena per la morte di Euridice, amplificando la riflessione sul distacco e l’abbandono che è il fulcro di questo straordinario capolavoro.

Tra un mese inizierà l’ideale prolungamento della speciale edizione di quest’anno, perché dal 26 settembre al 16 dicembre si svolgeranno i concerti di 1618 ǀ Beyond inseriti nella prima parte della stagione di Amuz, in risonanza e in sintonia con gli eventi di Antwerpen Baroque 2018. Rubens inspires.

 

 

 

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