Ci fu la prima generazione del folk revival italiano, quella del Nuovo Canzoniere Italiano, che sull’onda della riscoperta del patrimonio popolare italiano – lanciata dalle ricerche di Lomax, di Carpitella, di De Martino – si mise in testa la strana idea di riproporre le musiche delle “classi subalterne”: è la generazione del Nuovo Canzoniere Italiano, di Giovanna Marini. Ci fu una seconda generazione, che da lì partì, e poi una terza – quella nata artisticamente nella seconda metà degli anni settanta e poi negli anni ottanta, che lasciò più in secondo piano l’istanza politica e la ricerca per lavorare piuttosto sugli strumenti della tradizione, sugli arrangiamenti, aprendo la via a quella che sarebbe stata la world music.
Alla generazione di mezzo – quella forse meno celebrata, rimasta un po’ schiacciata tra i padri fondatori e i brillanti sperimentatori – appartiene La Macina di Gastone Pietrucci, che festeggia in questo 2018 i suoi cinquant’anni di storia.
Nel 1964 lo spettacolo Bella ciao del Nuovo Canzoniere Italiano dà scandalo al Festival dei Due Mondi di Spoleto, e per l’anno successivo è in tour in tutta Italia. È il primo momento di visibilità mainstream del folk revival italiano, e genererà molto figli. Uno è, appunto, Gastone Pietrucci: vede lo spettacolo e ne rimane folgorato.
«La Macina è nata a Monsano», spiega. «L’ho formata nel Sessantotto con alcuni giovani volenterosi e poi piano piano è cresciuta. Nel frattempo io mi sono laureato sulle tradizioni popolari, ho cominciato a fare una ricerca sul campo nelle Marche, e La Macina si è poi riappropriata di questo repertorio, lo ha riproposto…. È molto importante, perché è la storia della musica popolare marchigiana».
«Il cinquantenario non è una celebrazione, è una tappa per poter fare altri percorsi».
Tra i maggiori meriti del gruppo c’è in effetti quello di aver portato sulle mappe della musica popolare italiana le Marche, regione spesso meno considerata di altre, ma ricca di tradizioni e melodie. Pietrucci si è affermato da subito come principale motore della Macina, che è mutata e cresciuta intorno a lui, a sua immagine, fino ad approdare alla rodata formazione attuale (Adriano Taborro a chitarra e mandolino e alla direzione musicale, Marco Gigli alla chitarra, Roberto Picchio alla fisarmonica, Riccardo Andrenacci alla batteria e Giorgio Cellinese al coordinamento).
Dall’iniziale lavoro di riproposta, Pietrucci è diventato cantautore, cantore epico delle tradizioni orali della sua terra (anzi: Aedo malinconico ed ardente, come da titolo di un memorabile ciclo di suoi album), performer raffinato e originale, interprete di brani di canzone d’autore altrui… Ha collaborato con gruppi di combat folk (il lavoro pluriennale con i Gang su tutti) e con formazioni classiche e jazz, ha organizzato festival e feste popolari… Una carriera durata mezzo secolo, sempre ai margini (ma che margini) del visibile, sulla scena italiana, ma che ha lasciato una traccia profonda e duratura ovunque è passata.
Dopo il Premio Loano alla Carriera, ritirato in luglio, le celebrazioni per i cinquant’anni della Macina approdano all’Auditorium Parco della Musica di Roma, alla Sala Petrassi, il 14 settembre per un concerto-evento, che vedrà La Macina sul palco insieme a ospiti e amici speciali, come Rossana Casale, Lucilla Galeazzi, Giovanna Marini, Sara Modigliani. L’organizzazione e l’ideazione dell’evento è a cura di Jonathan Giustini, critico musicale e operatore culturale che della musica e dell’arte di Gastone si è innamorato.
Si tratta di un’occasione speciale per rendere il giusto tributo a un gruppo chiave del folk revival italiano (anche perché, incredibilmente, La Macina non si è mai praticamente esibita a Roma) e, soprattutto, per scoprire un aspetto poco noto della multiforme attività di Pietrucci: «nel foyer ci sarà anche una piccola mostra dei miei collage, è l’occasione per vedere questo lavoro un po’ nascosto: non tutti sanno che io mi diletto di collage», spiega. È una passione che il cantante porta avanti da almeno mezzo secolo – duratura tanto quanto quella per la musica – ma che ha sempre relegato all’aspetto più privato della sua espressività. Sono opere misteriose, delicate, piene di simbologie e insieme immediate… Guai a incasellare Pietrucci nel personaggio del vecchio revivalista burbero: è molto di più, e l’evento romano sarà un’occasione di scoprirlo come artista, come comunicatore completo.
Del resto, anche i festeggiamenti per il cinquantesimo non devono dare alla testa: «è un percorso che non si ferma», spiega. «Non è una celebrazione, è una tappa per poter fare altri percorsi».