Roberta Mameli e Luca Pianca, le anime amanti
Dal Lamento di Arianna di Monteverdi, una ricognizione per voce e arciliuto nel repertorio del Seicento
Le anime amanti di Roberta Mameli e Luca Pianca, sono quelle che esprimono pienamente la sensibilità della “nuova” monodia accompagnata in stile rappresentativo apparsa tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento. Il disco inizia dal celebre Lamento di Arianna di Monteverdi, l’unico straordinario arioso sopravvissuto dell’opera del 1608, e si conclude con l’aria “Addio Roma” dalla Incoronazione di Poppea del 1642, mettendo in risalto alcune delle Nuove musiche (1602) di Giulio Caccini, e delle Musiche da cantar solo nel clavicordo, chitarone, arpa doppia et altri istromenti simili (1609), Le Musiche. Libro terzo a una e due voci (1618) e Le Musiche. Libro V (1623) di Sigismondo d’India.
Nella essenzialità del loro accompagnamento liutistico è riassunta la prassi del basso continuo e tra gli strumenti usati da Luca Pianca per la registrazione di questo disco viene specificato un modello di arciliuto a tredici corde singole, di cui cinque non tastate per i bassi, che non rientra nella ortodossia degli strumenti storici legati al periodo nel quale queste musiche furono composte, ma che sostiene elegantemente la voce di Roberta Mameli capace di esprimere tutti gli affetti e tutte le sfumature della splendida e sensuale retorica musicale barocca.
La musica del Seicento non finisce mai di sorprendere e commuovere con l’eleganza e la grazia delle sue melodie, e questa selezione – pur non contenendo inediti o rivelazioni – coglie il divenire del recitarcantando che progressivamente si trasforma in una copiosa produzione di arie e lamenti.
Tra le pagine più interessanti risaltano “L’Eraclito amoroso” di Barbara Strozzi contenuto nella raccolta Cantate, ariette e duetti stampata nel 1651 e il “Lamento di Didone” di Sigismondo d’India, ma è un puro piacere ascoltare “Folle è ben che si crede” dal Curtio Precipitato et altri Capricij Composti in diversi modi vaghi e leggiadri a voce sola (1638) di Tarquinio Merula. Sono titoli che racchiudono le qualità del cantare con sentimento e che mutuando e declinando il concetto di sprezzatura espresso da Baldassarre Castiglione ne Il Cortegiano, Caccini nella presentazione delle Nuove musiche ha definito in termini musicali: “La sprezzatura è quella leggiadria la quale si da al canto co'l trascorso di più crome, e semicrome sopra diverse corde co'l quale fatto a tempo, togliendosi al canto una certa terminata angustia, e secchezza, si rende piacevole, licenzioso, e arioso, si come nel parlar comune la eloquenza, e la facondia rende agevoli, e dolci le cose di cui si favella”.