TODAYS, da PJ agli Shins
Terza, ottima, edizione per un festival che sembra aver trovato la sua strada
Si è simbolicamente e malinconicamente chiusa con "The Funeral" cantata dalla Band of Horses la terza edizione del Todays Festival di Torino. Una quadratura del cerchio davvero perfetta, che sembrerebbe quasi studiata a tavolino, per una manifestazione che, due giorni innanzi, aveva visto la sua prima, vera protagonista, PJ Harvey, presentarsi sul palco seguita dalla sua band in una sorta di jazz funeral dal devastante impatto emotivo. Ed è proprio da qui che potremmo partire per raccontare il terzo atto di uno dei festival musicali più interessanti dell’estate italiana, dal primo giorno e dal concerto forse più memorabile di tutta la manifestazione. In una calda, ma fortunatamente non torrida, sera di fine estate, in uno sPAZIO211 circondato, all’esterno, da un impressionante dispiegamento di forze dell’ordine (appena una settimana prima l’attentato di Barcellona) e invaso, all’interno, da un persistente odore (o profumo, a seconda dei gusti) di hamburger, la cantante inglese e la sua big band di dieci elementi hanno fatto il loro ingresso in scena con albionica puntualità – o forse persino con un paio di minuti d’anticipo sull’orario previsto (le 20.30). Non che ci sia stato il tempo di stupirsi più di tanto di un fatto così insolito per il pubblico italiano: la voce potente e la magnetica presenza scenica di Polly Jean, un repertorio solidissimo e un sound di gruppo semplicemente perfetto, capace di mescolare blues, indie rock e gospel senza mai suonare datato, hanno letteralmente ipnotizzato i tantissimi spettatori paganti del Todays (è stata senz’altro la serata più affollata). Tra vecchi classici ("To Bring You My Love", "Down by the Water") e brani più recenti (in gran parte tratti dagli ultimi due – splendidi – dischi, Let England Shake e The Hope Six Demolition Project), il concerto è scivolato via in un battito di ciglia, poco più di un’ora, per concedere le luci della ribalta al secondo headliner in cartellone, Mac DeMarco. Berretto in testa, sigaretta perennemente tra le labbra e attitudine, si sarebbe detto una volta, slacker, il giovanissimo cantante e chitarrista canadese (ventisette anni, ventuno in meno di PJ Harvey) ha sicuramente pagato il fatto di salire sul palco dopo un’esibizione di impareggiabile intensità, suscitando, soprattutto nel pubblico più maturo, perlopiù indifferenza. Il secondo giorno di festival ha visto come protagonista d’apertura Perfume Genius, moniker dietro il quale si nasconde l’androgino trentacinquenne Mike Hadreas. Con il suo sound sintetico so 80s e le sue movenze sensuali (così sensuali da aver scatenato un piccolo scandalo, finito anche sui giornali, per alcuni presunti insulti omofobi urlati dalle prime file cui lui, per non saper né leggere né scrivere, ha risposto con un definitivo “Shut up, bitch”: game, set e match), il talentuoso cantante di Seattle ha scaldato a dovere il pubblico prima del nome più atteso della serata: Richard Ashcroft. Occhiali da sole sempre indosso, capelli cortissimi e atteggiamento da bullo di periferia, l’ex frontman dei Verve, accompagnato da una classica (e un po’ anonima) band chitarra-basso-batteria, ha regalato al pubblico del Todays un’esibizione da navigata rockstar: le numerose hit del passato ("Sonnet", "The Drugs Don’t Work", "A Song for the Lovers"...), restituite in versione piuttosto fedele all’originale, hanno scatenato l’entusiasmo di un pubblico che, a giudicare da magliette e capigliature, è sembrato non aver ancora elaborato completamente il lutto della morte del britpop. Ashcroft ci ha messo tutto l’entusiasmo e il furore che i suoi quarantacinque anni ben portati ancora gli concedono – peccato soltanto che, a forza di urlare, abbia terminato il concerto praticamente senza voce, lasciando più che altro al pubblico l’onere di intonare, nel gran finale, il suo classico più leggendario: "Bitter Sweet Symphony". Per la serata conclusiva due i nomi di punta, dopo il gustoso aperitivo offerto dai canadesi Timber Timbre: gli Shins, per la prima volta in Italia, decisamente più muscolari dal vivo che nei dischi ma comunque in grado di emozionare con le loro melodie perfette e un mood generale di disarmante positività; e la già citata Band of Horses, a tratti terribilmente southern e anni Settanta ma anche dannatamente efficace nei suoi tortuosi intrecci di voci e chitarre – una live band di alto livello. Due, fondamentalmente, le sensazioni lasciate da questi tre giorni di musica (e arte e cinema e molto altro: ricordiamo che il Todays, come d’abitudine, ha proposto anche una serie di interessanti eventi collaterali) che, per il terzo anno, hanno avuto pure il non secondario merito di risollevare, per quanto provvisoriamente, le sorti di una delle periferie più difficili della città. Innanzitutto l’impressione di aver partecipato a un evento con una sua precisa dimensione e direzione estetica, fatta di musica di qualità non necessariamente “di nicchia” (gli Shins, per dire, sono un gruppo squisitamente pop, e in un mondo più giusto le loro canzoni verrebbero trasmesse alla radio ogni quarto d’ora) ma scelta con cura e senza la preoccupazione di dover accontentare tutti a tutti i costi. Rimane, però, anche la sensazione di un festival che può e deve crescere ancora, per arrivare a proporre a un pubblico ormai affezionato un cartellone in grado di esibire non soltanto alcune punte di diamante ma un’offerta musicale complessiva di uguale livello. Le premesse, in ogni caso, ci sono tutte.
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