James Brandon Lewis senza filtro
Convince il trio del sassofonista, al Torrione di Ferrara per Crossroads
In Emilia-Romagna è partita la diciottesima edizione di Crossroads. Il festival, onnivoro e possibilista, coagula varie esperienze regionali: da Rimini a Piacenza, da Ravenna Jazz al Cassero di Castel San Pietro, fino a concludersi in maggio con le undici date di Correggio Jazz. Il primo dei tre appuntamenti al Torrione di Ferrara, che in questo periodo ospita i ritratti taglienti, freddi e introspettivi della mostra di Roberto Cifarelli, ha visto in scena il trio No Filter di James Brandon Lewis. In questi ultimi anni il tenorista nato a Buffalo nel 1983 ha fatto molto parlare di sé, suscitando impressioni controverse; a Ferrara ha saputo fugare molti dubbi, imponendosi con una decisa personalità. L’impianto melodico dei suoi brani sembra appellarsi talvolta alla qualità di vecchi temi di Ayler, Ornette o Haden, affondando le radici ancor più lontano nella tradizione Spiritual o Gospel. Ma a essi si alternano linee spezzate e grottesche dal tono quasi irridente nella loro apparente banalità. Il sound del suo tenore è decisamente potente, rotondo e pieno nelle infervorate e liriche declamazioni dal contenuto mistico, salvo ripiegare in affascinanti inflessioni evanescenti e cave nei rari momenti lenti e a volume smorzato. La musica del suo trio, indubbiamente di forte impatto, si regge solitamente su un alto volume, su ritmi sostenuti e su una satura compenetrazione delle tre sonorità. I giovani Luke Stewart e Warren Trae Crudup III, compatti e partecipi, si sono dimostrati complici ideali per questo progetto, capaci di reggere lunghe progressioni e di contribuire con fitte e costanti scansioni metriche più che con articolate sortite solistiche. Se una sintesi si può trarre dal concerto ferrarese è che il sassofonista sa interpretare con temperamento e con una motivata, scanzonata, quasi incosciente freschezza un sincretismo culturale tutto radicato nella sua matrice afroamericana.
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