Il pop contemporaneo
Il ritorno in Italia dei Sigur Rós
Recensione
pop
Luogo comune vuole che una band proveniente dalla nordica Islanda non possa che proporre musica fredda. A maggior ragione nel caso dei Sigur Rós, da Reykjavík, che cantano per lo più in “vonlenska”, lingua artificiale da loro inventata e dunque, per definizione, incomprensibile a chiunque. Ma di luogo comune, appunto, si tratta. Perché, nonostante il fatto che Jónsi e compagni sembrino mettercela tutta per apparire freddi e distaccati all’ennesima potenza, presentandosi al pubblico di Milano nascosti da un velo semiopaco ad avvolgere il palco nella sua interezza (e rinunciando dunque al rapporto visivo diretto tra audience e artista che tanto ha contribuito alla mitologia del rock), il concerto di Assago del gruppo - di ritorno in Italia dopo un passaggio estivo - è stato quanto di più suggestivo ed emozionante ci si possa aspettare oggi da un gruppo pop contemporaneo – dove pop, va da sé, è da intendersi in senso lato (tecnicamente i Sigur Rós suonano post-rock) e contemporaneo, invece, nella sua accezione più letterale.
Esaltati da meravigliose scenografie e stupefacenti giochi di ombre e luci, che continuano anche dopo la caduta del velo verso metà concerto, i brani della band hanno incantato il non straripante pubblico per due intensissime ore senza, quasi, soluzione di continuità, come un’unica lunga suite ora onirica e psichedelica, ora inquietante, ora selvaggiamente rumorista. A dominare e rendere speciale con il suo inconfondibile falsetto ogni nota, ogni sfumatura, ogni suggestione, lui, Jónsi, la voce più bella del rock da Jeff Buckley a questa parte. Un trionfo che nemmeno un pubblico eccessivamente entusiasta – si perdoni l’eufemismo – è riuscito a scalfire.
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