Vezzi da rock star
L'atteso concerto dei Black Keys a Torino
Recensione
pop
Nel giorno in cui Torino ritrova il tanto atteso derby calcistico (si gioca allo Juventus Stadium, ma lo stadio Olimpico è proprio accanto al PalaIsozaki, e un folto gruppetto di tifosi granata si è dato appuntamento lì davanti per vedere la partita, a creare un bizzarro cortocircuito sportivo-musicale), sotto la Mole sbarca la rock band più acclamata del momento: i Black Keys, da Akron, Ohio.
Introdotti dagli interessanti londinesi Maccabees, Dan Auerbach e Patrick Carney hanno declinato per un’ora e mezza, davanti a un pubblico incredibilmente numeroso, partecipe e variegato (range d’età: dai diciotto ai sessant'anni circa), il loro garage rock intinto di glam e hard blues, tra Led Zeppelin, T. Rex, Stooges e White Stripes. Un concerto suonato e volato tutto d’un fiato, senza fronzoli né troppe parole: solo tanti ritornelli e riff orecchiabili, lunghi assoli di chitarra e ritmi per lo più ballabili, con qualche sporadica incursione nel folk acustico à la Fleet Foxes (“Little Black Submarines”, dall’ultimo disco [i]El Camino[/i], riproposto quasi per intero). Non male i giochi di luce che hanno fatto da sfondo all’esibizione, trionfalmente sfociati sul finale nel nome della band sparato a caratteri cubitali sulle teste dei musicisti. Vezzi da rock star.
Derivativi, ripetitivi e molto furbetti, questi Black Keys; ma dal vivo il loro sound che più classico non si può trova quell’immediatezza, quella ruvida grinta che su disco risulta spesso soltanto agognata.
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