Il cantastorie di tutti

Sotto un vento sferzante, Dylan suona senza esibire i muscoli: ormai non è necessario, basta la classe

Foto di repertorio: era vietato l'utilizzo di macchine fotografiche
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Recensione
pop
Artété Chatillon
Dire che Dylan sia ormai il simbolo di un modo di intendere la musica come forma di comunicazione è pura retorica. Ricordarne i fasti, i periodi bui e gli ultimi (ottimi) album tra fine '90 e inizi 2000 ("Time out of mind" su tutti), idem. La sua però da sempre è musica da palco, da vivere, da sentire: prima che con le cuffie in una stanza di casa propria, immersi nel mondo e stretti l'un con l'altro. A Chatillon, il signor Zimmerman lancia chiari segnali di transgenerazionalità del proprio messaggio: inizio alle 21.03, roba da grandi e piccini - pubblico, neanche a dirlo, dagli 0 agli 'anta' - e band country'n'roll dall'appeal semplice e immediato. Sopra ad una sezione ritmica old time, con batteria ridotta e contrabbasso, davanti alla steel guitar che accompagna come una sezione d'archi (ricordate "Lay, lady, lay"?), in combinata alle elettriche da locale sulla Route 66 (ma il solista Stu Kimball pare davvero poca cosa, o forse non è serata...), Bob sbuffa i suoi testi ruggenti dietro a country-blues d'annata. Ben poche concessioni ai semplici curiosi da grande nome, i titoli più noti arrivano in coda e sono gli unici a staccarsi dal sound twangy per farsi ruvidi e veramente rock: "Highway 61 Revisited" diventa un incalzante rock'n'roll in quattro, mentre "All along the watchtower" e "Like a rolling stone" suonano come tributi alle ben note cover di Hendrix e Stones. Per il resto: brani dilatati, spazi al solista per tutti i musicisti di bianco vestiti (e ovviamente al leader che però all'armonica ha visto tempi migliori), clima rilassato e trasgressioni alla scaletta; i momenti blues lasciano addosso un torpore simile ad un mantra, e sono i migliori della serata. Quelli che ci portiamo dentro tornando verso casa: il vecchio Bob la sa lunga, accontenta sempre tutti.

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