La scoperta dell'oro miceneo il cui splendore era celato alla luce, un poeta e la moglie cieca, una fanciulla, l'archeologo suo fratello, l'andare della fanciulla verso la morte, quasi in un rovesciamento del dramma di Antigone che all'inizio ella legge, lasciandosi uccidere dal fratello perché questi possa forse liberarsi dalla propria passione incestuosa: la Città Morta di Gabriele D'Annunzio divenne, fra il 1910 e il 1912, un'opera su libretto francese (lievemente rimaneggiato rispetto al testo teatrale) dello stesso D'Annunzio e la musica a quattro mani dell'allora giovanissima Nadia Boulanger e di Raoul Pugno (uno degli interpreti d'elezione dei capolavori di Debussy); ma il progressivo disinteressarsi di D'Annunzio al progetto, e poi la guerra, ne impedirono l'andata in scena. Alla Settimana della Chigiana se ne è data dunque la prima assoluta, sia pure con qualche taglio e in un'orchestrazione nuova anche se del tutto "mimetica" rispetto alle coordinate storiche e linguistiche che abbiamo detto, dallo spartito canto - piano (non essendo integralmente sopravvissuta l'orchestrazione originale), commissionata dalla Chigiana al compositore Mauro Bonifacio. Non sarà magari il caso di gridare al capolavoro, ma questa Ville Morte è realmente un documento di grande interesse di un'epoca letteraria, teatrale, musicale: influenza debussyana sul colore armonico e timbrico, sul canto che fluttua in composte curvature di quasi-parlato come nel Pélleas et Mélisande, persino comunanza di taluni simboli ed emblemi (l'acqua, i capelli), soprattutto il concetto generale di un teatro i cui personaggi hanno forse a lungo subito e taciuto la proprie passioni; ma anche, qua e là, qualche affondo drammatico più spinto, fino al bellissimo canto finale di Hébé. Luca Pfaff ha diretto con sicurezza una giovane orchestra brava anche se non avvezza a questo repertorio come la Camerata Strumentale di Prato, fra le voci (Letitia Singleton, Randal Turner, Michelle Canniccioni, Lorenzo Carola) colpiva per bellezza di mezzi e sobria incisività proprio la protagonista, Michelle Canniccioni, Hébé; semplice ma estremamente suggestivo, anche se del tutto svantaggioso per la musica data l'esorbitante profondità dello spazio scenico a tutto discapito delle voci (nonostante l'ausilio di microfoni), l'allestimento nella chiesa di S. Agostino, drappeggiata di teli bianchi come pepli, e perfetta la regìa di Massimo Luconi nel disporre e orchestrare dell'interiorità dei personaggi gesti, movimenti, spazi e tempi.
Note: La messa in scena da parte dell'Accademia Chigiana si basa su una nuova orchestrazione che Mauro Bonifacio ha realizzato su commissione dell'Accademia stessa, partendo da una riduzione per canto e pianoforte, preparata dagli stessi Pugno e Boulanger e pubblicata dall'Editore Heugel nel 1914. Produzione in collaborazione con Eurobottega ? La bottega europea della musica.
Interpreti: Anne: Letitia Singleton; Alexandre: Randal Turner; Hébé: Michelle Canniccioni; Léonard: Lorenzo Carola
Regia: Massimo Luconi
Scene: Massimo Luconi
Costumi: Paola Marchesin
Orchestra: Camerata Strumentale "Città di Prato"
Direttore: Luca Pfaff
Coro: Coro "Guido Monaco" di Prato
Maestro Coro: Lorenzo Donati