Fedele alla linea programmatica di un rinnovamento nel cartellone, il Teatro Comunale di Bologna apre la nuova stagione con "Leonore" (1805), o meglio l'"Ur-Fidelio", giacché l'unica andata in scena col quel titolo fu soltanto la seconda delle tre versioni dell'opera beethoveniana. Daniele Gatti riesce a farcela sentire ancor più diversa dal comune "Fidelio", grazie alle sue letture notoriamente asciutte, prive di retorica, incuranti di quanto la tradizione esecutiva abbia fossilizzato come stereotipo interpretativo.
Tanta asciuttezza nuoce invero all'inizio, quando l'ouverture pare strumentalmente priva di coesione interna, complice quel timpano barocco che Gatti predilige per la sua secchezza quasi da tamburo, ma che rischia di pregiudicare ancor più l'amalgama generale; molta colpa è però dello stesso Beethoven, che nella cosiddetta "Leonore Nr.2" lascia irrisolti alcuni problemi, che solo nel capolavoro assoluto della "Leonore Nr. 3" troveranno una loro definizione. Ed è in fondo lo stesso limite di cui soffrono le due prime versioni dell'opera rispetto a quella definitiva. La serata scorre tuttavia in rapido crescendo qualitativo, fugando al termine ogni dubbio sulla concertazione.
La lettura registica di Francesco Negrin, con l'immancabile trasposizione d'epoca, ambienta il tutto in un moderno carcere: non se ne sentiva l'esigenza, ma alla fin fine la cosa funziona, con alcuni momenti di grande riuscita: il quartetto a canone distribuito fra tre ambienti distinti, l'ora d'aria dei prigionieri giocata fra luci e controluci. L'impiento scenico di Anthony Baker scorre metaforicamente da un iperrealismo iniziale al più assoluto astrattismo geometrico; ma la scena finale s'arrichisce di gesti simbolici, non sempre d'immediata comprensione.
Compatta ed efficace la compagnia di canto pur priva di nomi di particolare spicco, a dimostrazione che in certo repertorio è possibile raggiungere buoni livelli anche senza la corsa al divo discografico. Unico nome noto, la Leonore di Hillevi Martinpelto, messa appena in difficoltà dalla coda della sua grande aria, più incantabile ancora di quella che Beethoven predispose per la versione definitiva.
Un particolare elogio al coro, semplicemente perfetto.
Note: Allestimento del Teatro dell'Opera di Anversa
Interpreti: Hillevi Martinpelto, Johnny van Hal, Jürgen Linn, Detlef Roth, Alfred Reiter, Nathalie Karl, Matthias Klink
Regia: Francisco Negrin
Orchestra: Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore: Daniele Gatti
Coro: Coro del Teatro Comunale di Bologna
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
A Colonia l’Orlando di Händel tratta dall’Ariosto e l’Orlando di Virginia Woolf si fondono nel singolare allestimento firmato da Rafael Villalobos con Xavier Sabata protagonista
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento