L'equivoco moderno
La prima esecuzione de L'equivoco stravagante nell'edizione critica di Beghelli e Piana
Recensione
classica
Al Rossini Opera Festival è scattata l'ora delle riletture in chiave moderna: La pietra del paragone è stata ambientata verso il 1960, ora con L'equivoco stravagante ci avviciniamo di qualche anno ancora e arriviamo al 1970. Il protagonista Gamberotto, un villano rifatto secondo il libretto, s'è trasformato in un ricco imprenditore del ramo alimentare: il suo ufficio è tappezzato di quadri alla Andy Warhol, la biblioteca di casa dove studia sua figlia Ernestina - che nell'originale affetta una grande passione per la letteratura ma che qui è appassionata soprattutto di uomini - è dipinta interamente a scacchi bianchi e neri, in stile optical, mentre il salotto è rosa shocking. Tutto il resto va di conseguenza. Ad apertura di sipario è sorprendente e divertente, ma dopo qualche minuto l'interesse comincia a venir meno e dopo qualche minuto ancora si comincia a pensare che a operine come questa viene a mancare l'aria vitale se le si toglie dalla tradizionale ambientazione in quell'isola che non c'è in cui si svolgono le esili e inverosimili vicende dell'opera buffa. Personaggi come Gamberotto e compagni diventano ancora più incongruenti in un mondo così reale e così vicino a noi come quello in cui li scaraventano Emilio Sagi e i suoi collaboratori Francesco Calcagni e Pepa Ojanguren, che comunque sanno portare avanti il loro gioco con notevole abilità. Questa Ernestina assatanata è più pepata delle spesso insipide protagoniste di queste vicende, che si assomigliano tutte come gocce d'acqua. Questo Gamberotto, che prima arringa i suoi dipendenti in una convention aziendale e poi si rivolge a tutto il paese con un comizio, è divertente, anche per i riferimenti casuali o voluti all'attualità politica italiana. Ma è tutto inventato di sana pianta, non c'è nulla nel libretto (tranne i soliti doppi sensi) e nella musica che giustifichi tutto ciò, col risultato che Rossini rischia di sembrare inefficace, banale, inadeguato a quel che succede in scena. Insomma, sommati i pro e i contro, resta il dubbio se il bilancio di quest'ammodernamento sia attivo o passivo. Non c'è molto da dire del lato musicale dell'esecuzione, ben riuscito ma non esaltante. Il protagonista era Bruno Praticò, che come sempre comunica simpatia dal primo apparire in scena ma che questa volta è sembrato un po' sottotono rispetto al suo livello abituale. In gran forma Lorenzo Regazzo (Buralicchio) e Silvia Tro Santafè (Ernestina), bene anche Antonino Siragusa (Ermanno). Donato Renzetti conosce abbastanza Rossini per dare sempre il giusto brio alla sua musica ma quanto a precisione (ah, che confusione nei concertati!) bisogna accontentarsi.
Note: Nuova co-produzione con l'Auditorio de Tenerife
Interpreti: Gayrilan, Tro Santafé, Ferrari, Praticò, Regazzo, Siragusa
Regia: Emilio Sagi
Scene: Francesco Calcagnini
Costumi: Pepa Ojanguren
Orchestra: Orchestra del Rossini Opera Festival
Direttore: Donato Renzetti
Coro: Coro da Camera di Praga
Maestro Coro: Lubomír Mátl
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