Fateli smettere!
Come una regia sconsiderata possa uccidere un'ottima esecuzione musicale
Recensione
classica
La "Favorita" è un caso evidente di felice impatto della ricerca musicologica sul repertorio teatrale: opera di grande diffusione fino a 30 anni fa, banco di prova per tenori svettanti e mezzosoprani in cerca di ruoli primari, è totalmente caduta in discredito proprio parallelamente al progressivo recupero del corpus donizettiano. La disponibilità, dal 1991, di un'edizione critica della partitura (che riconduce, tra l'altro, il testo all'originario idioma francese) ha dunque coinciso con la rinascita di un titolo che, a conti fatti, ha poco da spartire con le tinte paraverdiane che quelle ormai lontane esecuzioni gli avevano attribuito. E pertanto, invece di recuperare una "Favorita" all'italiana di scarsa attendibilità stilistica, possiamo oggi godere di una "Favorite" alla francese nuova e antica insieme, con tutt'altre aspettative d'attesa. Sul piano strettamente musicale questa produzione bolognese soddisfa le migliori aspettative. Il direttore Maurizio Benini è ormai un vero specialista di tale repertorio, che sa condurre orchestra e palcoscenico con rigore e abbandono insieme, attento alle esigenze dei cantanti ma senza mollare mai le briglie della disciplina stilistica (memorabile in tal senso l'accompagnamento alla cabaletta del duetto soprano-tenore nel primo atto); a suo demerito, solo qualche taglio di troppo. Il terzetto vocale, tutto italiano, è dal canto suo quanto di meglio si possa oggi trovare per un simile titolo. Roberto Frontali mette a frutto la sua grande esperienza in un ruolo che per nobiltà d'accenti e fierezza di carattere gli è perfettamente congeniale, specie là dove può sfoggiare le sue doti di consumato attore; Sonia Ganassi è semplicemente ideale per questa parte anfibia, a metà strada fra il soprano e il mezzosoprano, eccellendo tutte le volte che la voce ripiega su dolcezze struggenti; il timbro solare di Giuseppe Filianoti, unito a una linea di canto d'irresistibile naturalezza, dipinge a tutto tondo un personaggio simbolo del belcantismo romantico, e se solo l'incertezza non lo cogliesse (di certo per timore, non per inadeguatezza tecnica) in un paio di punti deputati, la sua prestazione potrebbe dirsi perfetta. Ognuno ha insomma saputo dar prova di grande consapevolezza stilistica, optando per una vocalità sfumata, nuancée, secondo il più puro gusto transalpino dell'epoca, che non intendeva affatto vedere nei tre protagonisti i genitori di Azucena, Manrico e il Conte di Luna, ma i figli di certo belcantismo rossiniano. Buone anche le parti di fianco. Dove lo spettacolo precipita è invece sul piano visivo: dopo il tonfo di "Manon Lescaut", la caduta è - se possibile - ancor più fragorosa con questo allestimento che alla maggior parte del pubblico è parso privo di qualsivoglia sensatezza, fondato su idee ormai stantìe che non scaturiscono dal testo, ma che al testo vengono sovrapposte come avrebbero potuto esserlo a qualunque altra partitura: ciò che vediamo non è lo spettacolo, ma una prova dello spettacolo allestito su un palcoscenico spoglio di scenografie, con i cantanti in borghese che si appoggiano sulle spalle frammenti di costume. Walter Pagliaro, Alberto Andreis e Alberto Verso considerano poi gli spettatori tanto sprovveduti da propinar loro atteggiamenti didascalici d'indicibile pesantezza: il tenore evoca l'amata in termini paradisiaci e un angelo sfila in platea a distrarre il pubblico dal canto della sua cavatina; il mezzosoprano enuncia la metafora del nero velo del disonore e un enorme drappo scuro scende a impacciarle la cabaletta; il baritono accenna al matrimonio dei due amanti e un ingombrante letto matrimoniale invade la scena. Queste le simbologie più facilmente comprensibili; per le altre servirebbe un manuale d'istruzioni. Successo caloroso indirizzato a cantanti e direttore; all'uscita degli altri, "buuuh" insistiti e all'unisono provenienti da ogni ordine di posto, come da troppi anni non si sentiva in questo teatro.
Note: Nuovo allestimento Teatro Comunale di Bologna
Interpreti: Ganassi, Filianoti, Frontali, Patton, Emili, Barbieri
Regia: Walter Pagliaro
Scene: Alberto Andreis
Costumi: Alberto Verso
Orchestra: Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore: Maurizio Benini
Coro: Coro del Teatro Comunale di Bologna
Maestro Coro: Piero Monti
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
classica
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.