Il Domino, soprattutto se nero, assomiglia un po' al Pipistrello

Un recupero interessante, che apre uno spiraglio sulla sopravvivenza dell'opera buffa nell'epoca del dominio di Verdi

Recensione
classica
Teatro Comunale Pergolesi Jesi
Lauro Rossi
28 Settembre 2001
Una giovane fatta monacare a forza fugge dal convento e corre a una festa a corte, dove si innamora di un bel giovanotto. E dove ti va a capitare questa ingenua (!) suorina nel secondo atto? In una casa di tolleranza, dove intrattiene signorine e avventori cantando e ballando. Il terzo atto si svolge invece in un convento, che non è un luogo abituale per un'opera buffa: oltretutto non si è mai visto un convento con una clausura meno rigida di questo, con tutto quel via vai di uomini che fa da contrappunto al canto delle laudi. Come lieto fine, la suorina annuncia il suo prossimo matrimonio, reso possibile da una opportuna dispensa. Un soggetto incredibilmente audace per l'Italia del 1849, appena rimessa in riga dalle armate di Radetzki! Vero è che si tratta di un soggetto di Scribe, proveniente dai libertini territori dell'opéra-comique francese, ma le trovate più piccanti ce l'hanno aggiunte proprio i nostri Lauro Rossi e Francesco Rubino, autori rispettivamente della musica e del libretto del Domino nero. Siamo a un passo dall'operetta, per la acuminata e disinibita satira di costume, per i ritmi di danza che zampillano in continuazione, per i saporiti pezzi di carattere spagnoleggiante, per le impertinenti parodie dello stile esasperatamente drammatico dell'ultimo Donizetti e del primo Verdi. E tante melodie, non indimenticabili ma scorrevoli e frizzanti, che vivono per poche battute e passano via per lasciare spazio ad altre idee, altrettanto superficiali e gradevoli. Questo Domino nero non è né vuole essere un capolavoro immortale e si accontenta di far trascorrere al pubblico una piacevole serata. A suo tempo ottenne un grande successo immediato, seguito da un rapido oblio. Era il caso di riproporlo al pubblico moderno? E perché no?! Però alla prova del palcoscenico il libretto si rivela meno pepato di quel che fa sperare, mentre la musica si impantana un po' troppo spesso (specialmente nel primo atto) in pezzi inutilmente lunghi e complicati, col risultato di qualche sbadiglio e poche risate. Che la colpa sia anche della regia di Maurizio Nichetti, così garbata da apparire quasi timida? Si nota qualche traccia della comicità nichettiana, ma ci sarebbe voluto altro. Ci sarebbe voluto un regista che sguazzasse come un pesce nel mare dell'opera italiana dell'Ottocento e fosse in grado di stare al gioco di Rossi, che chiaramente fa la parodia di tutta una serie di topoi scenici e musicali del melodramma del suo tempo: sicuramente il pubblico del 1849 afferrava al volo quegli ammiccamenti e si divertiva al gioco, Nichetti invece non se ne accorge proprio. Stupisce che non capisca il gioco neanche Bruno Aprea, che il melodramma lo frequenta non per hobby ma per mestiere: non mette un pizzico di ironia nella sua direzione e per cercare di essere vivace non fa altro che pigiare sull'acceleratore e girare al massimo la manopola del volume. Dopo un inizio sulla difensiva (comprensibile: è intervenuta quasi all'ultimo per una sostituzione d'emergenza) ha invece perfettamente capito il gioco la protagonista, Chiara Taigi, che non per nulla frequenta sia i ruoli drammatici donizettiani e verdiani sia l'operetta: il curriculum giusto per il Domino nero. Gli altri se la sono cavata: il tenore Luis Damaso ha la voce ma è un po' rigido in scena, Mauro Buda è l'esatto contrario, Michele Porcelli è un accettabile compromesso tra i due.

Note: nuovo all.

Interpreti: Taigi, Damaso, Buda, Zapparoli, Porcelli

Regia: Maurizio Nichetti

Scene: Mariapia Angelini

Costumi: Mariapia Angelini

Orchestra: Orchestra Filarmonica Marchigiana

Direttore: Bruno Aprea

Coro: Coro Lirico Marchigiano "Vincenzo Bellini"

Maestro Coro: Carlo Morganti

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