Guardando la Gazzetta - e cercando anche di ascoltarla, nonostante il bailamme che succede in scena si è continuamente combattuti tra l'amore per Rossini e l'amore per Fo. Perché? Ma perché fin dall'inizio, mentre il tenore canta la prima aria, Fo gli organizza intorno un balletto di ciechi (!?) e poi prosegue fino alla fine con uno zampillio inarrestabile di trovate e trovatine di questo genere, che talvolta si legano in qualche modo alle parole e/o alla musica (e allora sono anche divertenti, come quando i finti duellanti si affrontano prima colle spade, poi passano ai bastoni, alle pistole e infine alle bombe) ma spesso ne prescindono totalmente (e allora sono superflue o irritanti) e in alcuni casi le fanno letteralmente a pezzi (un esempio: l'aria di Don Pomponio, che sproloquia in un napoletano irresistibile, è continuamente interrotta da scambi di battute tra il cantante e un altro personaggio, il servo Tommasino, che dovrebbe essere muto). Insomma bisogna scegliere: o Rossini o Fo. Se si ama solamente uno dei due, la scelta è immediata. Ma se li si ama entrambi, ci si trova di fronte a una scelta difficile e dolorosa: in questo caso si dovrebbe pensare all'aurea regola secondo cui prima viene l'autore e poi l'interprete (troppo banale?) e di conseguenza scegliere Rossini. Naturalmente è una scelta assolutamente platonica, perché comunque Fo continuerà ad occupare il palcoscenico da padrone assoluto. A dire il vero, in qualche raro momento Fo sgombra la scena dai mimi, dalle ballerine e dall'attrezzeria strampalata e la sua regia diventa assolutamente normale, per non dire banale: eppure sono proprio questi i momenti più divertenti e così si ha la controprova che in fatto di comicità Rossini e il suo ingiustamente bistrattato librettista ne sapevano più di Fo. Bisogna anche dire che Fo ha abusato un po' troppo dei bravissimi cantanti-attori che il festival gli ha affidato. Si sa che Bruno Praticò (Don Pomponio) è 1) un cantante tra i migliori nel genere buffo, 2) un attore d'una simpatia straripante, ma 3) non è Totò e quindi non ha la prontezza per andare a braccio (per di più in napoletano, lui che è valdostano) come Fo gli chiede. Facendo 1 più 2 meno 3 si ottiene un risultato inferiore a quelli cui Praticò ci ha abituati da anni. All'opposto Pietro Spagnoli era perfino troppo contenuto, ma in uno spettacolo così sopra le righe il suo à plomb impeccabile arriva come una boccata d'ossigeno. Chi trova la misura ideale è Stefania Bonfadelli, infallibile e pirotecnica come cantante, vivace e maliziosa come attrice. Bravissime anche Laura Polverelli e Marisa Martins. Antonino Siragusa sembra un po' spaesato nella frenesia che regna in palcoscenico, ma fa ascoltare una bella voce di tenore di grazia. I ruoli minori sono sostenuti in modo esemplare da Gianpiero Ruggeri e Cristophoros Stamboglis. La direzione di Maurizio Barbacini non si distingue né per vivacità né per raffinatezza e non sta troppo attenta agli equilibri tra voci e orchestra e tra le voci stesse all'interno dei pezzi d'insieme.
Note: nuovo all.
Interpreti: Bonfadelli, Martins, Polverelli, Siragusa, Ruggeri, Stamboglis, Spagnoli, Praticò
Regia: Dario Fo
Scene: Francesco Calcagnini e Dario Fo
Costumi: Dario Fo e Paolo Mariani
Orchestra: Orchestra Giovanile del Festival
Direttore: Maurizio Barbacini
Coro: Coro da camera di Praga
Maestro Coro: Lubomír Mátl