EreSiria

Ritorna la dabka-techno di Omar Souleyman, con l'appoggio di Modeselektor e Four Tet

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Omar Souleyman
Bahdeni Nami
Monkeytown

È uno di quei casi in cui i puristi delle "musiche del mondo" s'indignano, poiché l'autenticità del linguaggio indigeno, riferita nella fattispecie alla dabka, danza diffusa in larga parte del Medio Oriente, risulta infettata da sonorità "coloniali", provenienti in questa circostanza dalla club culture europea. Premesso che sovente sono eresie e imbastardimenti a far progredire la civiltà umana, nello specifico la combinazione dei due elementi non è affatto artificiosa o insensata. Cantante quarantanovenne originario di Hassakè, città della Siria nordorientale, fra le più sofferenti per il conflitto in atto, Omar Souleyman aveva costruito la propria reputazione in patria animando matrimoni, battesimi o compleanni e immortalando spesso tali esibizioni su cassetta (oltre 500 le uscite in quel formato). A esportarne su scala internazionale lo stile - simile al raï d'Algeria, maggiormente ritmato però - è stata inizialmente l'indipendente statunitense Sublime Frequencies, pubblicando durante il decennio scorso quattro compilation, mentre di lui si occupa ora la berlinese Monkeytown, etichetta fondata dai "technocrati" Modeselektor: padroni di casa che in Bahdeni Nami mettono mano a un paio di brani, in particolare "Leil El Bareh", con enfasi percussiva dall'effetto trance.



Non sono gli unici "forestieri" presenti: si notano anche i contributi di Four Tet (che aveva prodotto già il precedente Wenu Wenu), nell'incalzante traccia che dà titolo all'album, e del guru dell'acid jazz britannico Gilles Peterson, alle prese con l'altrettanto concitata "Tawwali El Gheba". Per il resto, registrando il disco a Istanbul (dove risiede da qualche anno), Souleyman si è affidato a coloro che da sempre o quasi gli sono a fianco: il tastierista tuttofare Rizan Sa'id, il suonatore di saz Khaled Youssef e - in alcuni testi - il poeta Ahmad Alsamer. Per quanto sia artista ormai affermato, come dimostra l'apparizione al concerto associato al Nobel per la Pace, nel dicembre 2013 a Oslo, non ha reciso le proprie radici, insomma: lo testimoniano qui il prologo "Mawal Menzal" e soprattutto "Enssa El Aatab", che trasuda malinconia.

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