Un'antica amicizia, umana e musicale, lega Roberto Tombesi, dei veneti Calicanto, a Mauro Odorizzi, animatore dei trentini Abies Alba, due dei nove gruppi che partecipano all'Orchestra Popolare delle Dolomiti. A loro abbiamo chiesto di introdurre le coinvolgenti quindici tracce registrate dall'orchestra a Castelfranco a maggio 2014, e ora pubblicate come Concier di testa da Felmay. Venticinque musicisti coordinati da Francesco Ganassin, arrangiatore e direttore musicale, che ha accettato la sfida del far "ri-suonare" melodie popolari privilegiando la "dimensione collettiva". Il magnifico libretto che accompagna e spiega il cd (disponibile qui) traccia una linea di continuità fra le gavotte, le monferrine, i valzer, i balletti di Concier di testa e il "seme" gettato nel 2011 insieme al violinista Tommaso Luison con la pubblicazione da parte di Nota di Ballabili antichi per violino e mandolino.
Com'è nata l'idea di questo progetto?
Roberto Tombesi:«L'idea di questa Orchestra è figlia del ritrovamento di quattro importanti manoscritti musicali del Cadore poi pubblicati nel libro che documenta un repertorio dalle Dolomiti del primo Novecento, che ho promosso e curato insieme a Francesco Ganassin e Tommaso Luison. Dopo averlo pubblicato, noi di Calicanto ci siamo interrogati a lungo su come rivitalizzare questo patrimonio. In un primo momento avevamo pensato che potesse essere un buon materiale per uno o addirittura più cd del gruppo, ma alla fine ci siamo convinti che un materiale così prezioso del nostro territorio andava condiviso con altri gruppi che come noi da anni si adoperano per la salvaguardia e la rivitalizzazione delle nostre musiche di tradizione. Per prima cosa ne ho parlato con gli amici trentini di Abies Alba ai quali ci lega una lunga amicizia anche extramusicale, e poi via via ho contattato altri gruppi rappresentativi per il lavoro sul territorio. C'è stato un lungo periodo di triangolazioni e di metabolizzazione della proposta, e alla fine il 28 dicembre 2011, in una storica riunione nei locali della banda di Crespano del Grappa, si è concretizzata questa bella follia».
Mauro, come sei stato coinvolto in questo progetto?
Mauro Odorizzi:«Con mio fratello Nicola e Franco Susini [sempre di Abies Alba] avevamo già partecipato a una delle tante avventure partorite dall'instancabile Roberto Tombesi. Era il 1996 e il progetto Adio, Leon! non parlava di montagne, ma soprattutto di mare, ed era stato ispirato all'anniversario del Trattato di Campoformio (1797) che sancì la fine della Repubblica di Venezia. Poi con Roberto, Dario Marusic, Marino Kranjac e il coro femminile Katice di Ljubiana, abbiamo viaggiato dalla Alpi alla Dalmazia con Viaggio turchese. E infine ci sono state le tappe di montagna, l'Alpen Folk Orchestra nata ad Arte Sella nel 1998 e basata sul sodalizio con gli amici lombardi della Bandalpina, e la Grande Orchestra delle Alpi in cui si sono aggiunti i valdostani, i piemontesi, i francesi, gli svizzeri, gli austriaci fino a raggiungere l'incredibile numero di settanta musicisti. Un'impresa - diciamo - estrema per tanti motivi, ma da lì penso abbiano preso le mosse sia l'esperienza del supergruppo TradAlp, la costola occidentale della Grande Orchestra delle Alpi, e in qualche modo anche l'Orchestra popolare delle Dolomiti. È stato fondamentale per la nascita dell'Orchestra il ritrovamento dei manoscritti cadorini, ma il progetto nasce anche da un'ormai trentennale rete di rapporti, oltreché dall'impulso di Roberto Tombesi che ha avuto la "sventura" di nascere con un patrimonio genetico irrimediabilmente segnato dalla passione per la ricerca e per la musica tradizionale».
Non sarà stato facile dal punto di vista organizzativo...
Odorizzi: «No, non è stato facile, sia per il numero di persone coinvolte, sia per le diverse provenienze. Tra Volker Klotz che vive a Lana vicino a Merano e Andrea Da Cortà che vive in Cadore c'è un bel po' di strada. Ma alla fine abbiamo seguito i percorsi storici e la via più facile per comunicare fra Trentino Alto Adige e Veneto è la Valsugana. È proprio lungo questa valle che è nata veramente l'Orchestra nel 2011. Le prove infatti si sono svolte a Borgo Valsugana, Spera e Primolano. All'inizio, come in tutte le storie d'amore, c'è stata molta adrenalina e il piacere di incontrarsi. Il difficile arriva adesso che il progetto è maturo e bisogna alimentare l'entusiasmo iniziale con nuovi obiettivi e stimoli. Ovviamente il cd è una grande opportunità di farci conoscere e quindi confido che porterà delle novità e magari qualche aiuto per stabilizzare l'organizzazione.
Tombesi: «Credo che gli amici dell'orchestra me ne daranno atto: all'inizio ho impiegato vari mesi, forse un anno per coagulare attorno al progetto l'attenzione dei molti. Allora non avevo un progetto definito e sostenevo che sull'idea di base da cui muovevo avremmo dovuto costruirlo insieme. Questa democratizzazione, di cui sono fiero, ha creato tuttavia qualche problema. Facile infatti sarebbe stato arrivare con un progetto confezionato e magari un certo budget da utilizzare.... Ma qui quasi tutto è stato condiviso attraverso mediazioni non sempre facili. Di tutto questo, credo, oggi siamo orgogliosi perché, nonostante rimangano metodi di lavoro piuttosto diversi, abbiamo trovato un equilibrio che ha generato una forte affettività e una complicità che non è difficile riscontrare anche ai nostri concerti».
Come funziona l'orchestra?
Odorizzi: «Per il momento non è un soggetto autonomo, ma vive attraverso i gruppi e le associazioni che la compongono. Una formula il più possibile leggera, per dedicare il poco tempo che abbiamo alla musica. Abbiamo un direttore musicale, Francesco Ganassin, e questo è un grande salto in avanti rispetto alle esperienze precedenti, dove questo ruolo era più sfumato. Nonostante questo, tutti dicono la loro e le discussioni fervono: questo aspetto fortemente democratico è uno dei tanti indicatori di atipicità dell'Orchestra».
Tombesi: «Ci vorrebbe un quaderno intero e qualche buon psicologo per raccontarla tutta. Sintetizzo dicendo che l'obiettivo di produrre il cd ha fatto sì che un nucleo ristretto si sia fatto carico di numerosi impegni legati alla produzione senza troppi se e troppi ma. Ora siamo tutti consci che per continuare sarà necessario mettere a punto un metodo di lavoro fluido ed efficace. A tale proposito si è recentemente ufficializzato un nucleo di coordinamento che d'ora in avanti si occuperà della gestione dei concerti, promozione, gestione cd, eccetera».
Cosa ricordate del primo concerto?
Tombesi: «Abbiamo fatto il primo concerto a Trento nell'estate del 2012 dopo pochi mesi dalla costituzione dell'orchestra. Per certi versi, oggi dico che è stato un po' un azzardo e siamo stati fin troppo audaci nel debuttare così presto. In compenso, abbiamo passato poi tre anni a limare, aggiustare e ancora non è finita...».
Odorizzi: «L'esordio è stato nel luglio 2012 a Itinerari folk, la rassegna che seguo come direttore artistico. Nonostante la tensione generale e la stanchezza, la ricordo come una gran bella serata, con pubblico assiepato in ogni dove e i gruppi danze che hanno ballato per quasi tutta la serata offrendo uno spettacolo nello spettacolo».
E un altro concerto che ritenete memorabile?
Odorizzi: «Un altro momento che ricordo con vero piacere è stato il concerto francese vicino a Lione, nell'ottobre 2014, dove nel finale abbiamo avuto come ospite Jean Blanchard e il suo trio con il quale abbiamo eseguito una brano bretone».
Tombesi: «A detta di molti, sottoscritto compreso, un singolarissimo concerto l'abbiamo fatto al castello di Presule in Tirolo l'8 agosto di quest'anno. Dovevamo suonare nel giardino del castello e avevamo già fatto meticolose prove del suono; poi, per questioni atmosferiche, abbiamo dovuto ripiegare in una sala del castello in versione totalmente acustica. Sarà stata l'intimità della sala (rivestita di splendida boiserie altoatesina), la dimensione a contatto con un pubblico attento e partecipe, ma suonare in quel sinistro maniero (cinque secoli fa vi bruciarono lì numerose "streghe") è stata un'emozione che ricorderemo in molti.
In che modo il repertorio ed il modo di suonare si è modificato dall'inizio ad oggi?
Tombesi: «Il repertorio non ha subito dall'inizio grosse variazioni. Si era fin da subito concordato che fosse costituito per buona parte da brani tratti dai manoscritti cadorini più una rappresentanza di brani dal repertorio dei vari gruppi. Il modo di suonare, invece, è cambiato molto ed è in continua evoluzione. Suonare in oltre venti persone sul palco è cosa estremamente complessa di cui pochi di noi avevano esperienza e può essere anche molto mortificante per chi è abituato a sparare raffiche di note ed essere sempre in primo piano. Tuttavia, garantisco che fare un unisono intonato e preciso, sviluppare insieme un crescendo coerente e fluido, incrociare gli occhi dei compagni dopo il finale di una suite di manfrine ben riuscita è motivo di grande soddisfazione. In tempi di individualità e specializzazioni sempre più esasperate, questo è un messaggio su cui ci piace riflettere».
Qual è il rapporto con i materiali scritti, dai manoscritti ritrovati agli arrangiamenti?
Tombesi: «Anche su questo argomento c'è stata una lunga riflessione. Col tempo si è maturata l'idea che, dopo una gestazione iniziale molto partecipata, per consentire un importante salto qualitativo a cui si tendeva, fosse necessaria una direzione. Sono stato molto contento che un giovane di talento come Francesco Ganassin abbia raccolto la sfida di orchestrare il repertorio e dirigere l' ensemble. L'esperienza personale maturata sul campo in tanti progetti trasversali come Padus, Adio Leon!, Viaggio Turchese, Sconfini Mediterranei mi ha consentito di appoggiare e sostenere l'enorme lavoro di Francesco condividendo metodi di lavoro, orientando alcune strategie di produzione e suggerendo alcuni arrangiamenti che poi Francesco ha ottimizzato al meglio. Oggi tutta l'orchestra riconosce in lui un punto di riferimento imprescindibile».
In che modo un territorio "segna" la musica?
Tombesi: «Ti rispondo facendo tesoro della mia ormai ultratrentennale esperienza con Calicanto che come sai ha attraversato momenti più tradizionali e altri più visionari e creativi. Oggi, nonostante ci sia un gran fermento, specie nell'ambito della danza, e molti giovani bravi e preparati diano prova di grandi abilità con musiche e strumenti della tradizione (nell'ottica del cosiddetto movimento neotrad ), sento sempre più forte l'irrinunciabile fascino della tradizione. Nonostante già nel primo disco di Calicanto ci prendemmo il nostro spazio compositivo e in qualche modo innovativo, nulla in questo momento, mi pare più ricco e appagante di una bella musica di tradizione.
Anche nel mio cd di organetto che uscirà a breve ho fatto la scelta (per certi versi anche un po' sofferta) di eseguire solo brani della tradizione, alcuni dei quali erano nel cassetto fin dagli anni delle prime personali ricerche del 1981».
Quanto un disco riesce, in questo caso, a catturare l'orchestra?
Odorizzi: «Penso che il disco rappresenti onestamente questa formazione, anche per il modo semplice e diretto in cui è stato registrato. Ovviamente dal vivo può emergere meglio il nostro divertimento e l'energia che in registrazione sono certamente più trattenuti. Sono molto curioso tuttavia di sentire l'opinione del pubblico perché come al solito chi è coinvolto nel lavoro a furia di ascoltarlo gli vengono un sacco di dubbi e rischia di perdersi nei dettagli.
Tombesi: «Decidere di imbarcarsi in una avventura a forte rischio come quella del cd ha consentito all'OPDD di ingranare una marcia in più e di motivarsi alla produzione del disco stesso. Mi sento anche di dire che a livello personale nel corso della mia attività ho partecipato a numeri progetti di cui poi purtroppo non è rimasta traccia. Penso ai già citati progetti come il gruppo Padus (con Martinotti, Bianchi, Citelli e Coltri) e quelli anche con i fratelli Odorizzi (Adio Leon! e Viaggio turchese). Il cd Concier di testa quindi fotografa e testimonia bene questa avventura e ne sono molto soddisfatto».
Ci raccontate scelte e produzione del cd?
Odorizzi: «Come forse hai potuto notare le nostre scelte sono in forte controtendenza: nell'epoca della smaterializzazione, anche della musica, abbiamo realizzato un booklet di cento pagine, brossurato e dal peso ragguardevole. Per i feticisti come noi della carta stampata e dei libretti dei cd può tuttavia avere un certo fascino: sia per i contenuti testuali che per il corredo di immagini può essere apprezzato. Anche il minutaggio del cd non è dei più consoni al tempo di ascolto odierno. Ma tant'è, si tratta di un'autoproduzione lontana anni luce da qualsiasi logica mercantile. Sfido chiunque a trovare una qualche traccia di senso del business dentro l'Orchestra: ricerca inutile».
Qual è il vostro brano preferito? Ne "vedete" uno radiofonico?
Tombesi: «Ahi! Ahi! È come chiedere a un padre che figlio preferisce. Non ce la faccio... Se parliamo di radio illuminate, allora credo che tra i cantati la nostra versione di "Stelutis Alpinis" sia una vera chicca per un ascolto serale. Tra gli strumentali la composta allegria della suite "Antica marcia e Monferrine" può essere un bell'ascolto per un buon inizio di giornata.
Odorizzi: «Non saprei proprio dire se c'è un brano radiofonico, ma ci sono dei suoni e alcuni brani che mi piacciono molto: le gavotte che introducono il cd, "Agnoleti a uno a uno" che ci presenta un arrangiamento efficace con una bella voce di organetto. E poi, anche per me, l'intensa versione di "Stelutis alpinis"».
Desideri e progetti futuri?
Tombesi: «Siamo reduci dalla prima presentazione del cd al rifugio Fuciade a 2000 metri nel cuore delle Dolomiti. È stata una bella esperienza per ricompattare e rimotivare tutto il gruppo e per porre delle condizioni minime per la sopravvivenza dell'ensemble. Anche se a volte nel corso della gestione del cd siamo stati a turno più volte presi dallo sconforto e dalla fatica nel gestire in pochi altri questa bella utopia, oggi dico che il desiderio principale è che l'OPDD possa continuare a vivere come simbolo di condivisione, passione e amicizia. Riguardo la parte più strettamente artistica credo ci attenda un anno di soddisfazioni, almeno spero. Il progetto mi pare significativo e il cd bello, quindi spero si possano fare dei bei concerti nei mille affascinanti luoghi delle Dolomiti, e non solo...».