Label storica del jazz europeo a partire dalla fine degli anni Sessanta, la tedesca MPS (con sede nel cuore della Foresta Nera) ha testimoniato sia il fervore dei principali musicisti del Vecchio Continente (da Albert Mangelsdorff a Wolfgang Dauner, dalla Kenny Clarke/Francy Boland Big Band a Jean-Luc Ponty) che quelli di artisti americani di primissimo piano come Oscar Peterson, Lee Konitz e molte altre “glorie” più o meno in forma all’epoca delle registrazioni.
In particolare l’etichetta ha saputo testimoniare con efficacia quanto avveniva in storici festival tedeschi come il New Jazz Meeting Baden-Baden, il JazzFest di Berlino o quello di Donaueschingen, facendo da imprescindibile punto di snodo per molte connessioni tra le due sponde dell’Atlantico.
Stimolanti esempi della varietà di situazioni che la MPS ha testimoniato nel giro degli anni sono certamente le recenti ristampe (in un ottimo vinile a 180g e in cd) di alcuni dischi tutti da riscoprire.
Primo di questi è Symbiosis, curioso “incontro” tra il pianoforte di Bill Evans e l’orchestra dell’arrangiatore Claus Ogerman (uno dei tanti musicisti purtroppo scomparsi in questo funesto 2016) che già nel 1968 aveva diretto l’orchestra che aveva registrato Bill Evans Trio with Symphony Orchestra – il celebre disco con le riletture di Skrjabin, Fauré, Granados…
Qui siamo nel 1974: con Evans (anche al piano elettrico) ci sono i fedeli Eddie Gomez al basso e Marty Morell alla batteria, la partitura – in 5 movimenti – è dello stesso Ogerman ed è un tipico esempio di scrittura eclettica, in cui alcune istanze tipicamente third-stream trovano esiti di più “leggera” fusione, tra coloriture di efficacia quasi hollywoodiana, pendoli di tentazione minimalista (la seconda parte del primo movimento) e eccessi d’enfasi concertistica, come nell’ultima parte. Se si va oltre la curiosità, ci sono molti ottimi momenti per questo piccolo/grande cult dell’Evans minore.
Dicevamo del meraviglioso scrigno di opportunità che erano i maggiori festival tedeschi dell’epoca: da quello di Berlino del 1968 viene il live The Dizzy Gillespie Reunion Big Band, titolo che fa riferimento al fatto che l’orchestra che accompagna il trombettista, allestita per l’occasione, si compone di musicisti che in passato, a vario titolo, avevano collaborato con lui.
Troviamo così strumentisti come Cecil Payne, Curtis Fuller, Jimmy Owens, James Moody, Sahib Shihab, occasionali quanto volete, ma in fondo in grado di costituire una big band davvero coi fiocchi, che diverte e si diverte su classici come “Things To Come”, “Con Alma” o “One Bass Hit”. Scoppiettante e da rivalutare.
Altro trombettista stellare alla corte della foresta nera è stato Clark Terry, che in Clark After Dark del 1977 è alle prese con l’arte della ballad, affidata al suono più morbido del flicorno e ai toni suadenti di una grande orchestra, composta da ottimi professionisti inglesi (scorrendo la lista si incontrano anche Kenny Wheeler, Stan Sulzman, Gordon Beck o Tony Coe!).
I temi sono dei super classici, da “Misty” a “Angel Eyes”, passando per “Nature Boy” o “Yesterdays”, l’atmosfera è di raffinato disimpegno, ma potrebbe essere un ottimo ascolto per le pigre serate invernali. Abbinare un buon brandy.
Decisamente più su di giri – e non potrebbe essere altrimenti – è la Count Basie Orchestra, di cui vale certamente la pena riscoprire High Voltage, disco del 1970. Gli arrangiamenti sono dell’ormai fidato Chico O’Farrill, qui alle prese con alcuni classici standard come “Have You Met Miss Jones” o “The Lady Is A Tramp”.
Tra i solisti spiccano i vigorosi Joe Newman o Eddie “Lockjaw” Davis, per un disco che conferma – ed è certo un pregio – l’ormai stabilmente eccelso livello qualitativo dell’orchestra, sebbene in un periodo ormai di comodi allori.
Chiudiamo questa ottima cinquina con un lavoro perfetto per le feste (come regalo non banale o come ascolto “a tema”): stiamo parlando di Christmas dei Singers Unlimited, formazione vocale il cui nome forse a qualcuno non sarà troppo familiare, ma tra le più originali e influenti.
Classici natalizi come “Silent Night”, “Have Yourself a Merry Little Christmas” o “Deck The Halls”, accanto a pezzi scritti appositamente dal trombettista Alfred Burt, sono trattati con grazia polifonica leggera e meditativa, ma anche ricca di piccole invenzioni e digressioni. Quello che una vecchia zia definirebbe un disco “delizioso”.