Le esplorazioni chitarristiche di Andrea Massaria

Per l'etichetta nusica un disco con Bruce Ditmas, dedicato alla musica di Carla Bley

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jazz

Chitarrista dalle sonorità fortemente personali e dal percorso mai banale, Andrea Massaria ha pubblicato da poco per l’etichetta nusica un interessante lavoro in duo con il batterista Bruce Ditmas, dedicato alle composizioni di Carla Bley.

Com’è nella filosofia di nusica, il disco si può ascoltare interamente sul sito dell'etichetta (e comperarlo, se piace), ma ci faceva piacere anche fare quattro chiacchiere con Massaria per conoscere meglio il progetto e il suo percorso artistico in generale, in attesa di ascoltare queste musiche dal vivo al Musicafoscari Jazz Fest, dove sono in cartellone venerdì 2 dicembre (tutto il programma qui) .

La chiacchierata non poteva che partire da Carla Bley…

Quando ti sei accostato per la prima volta al lavoro di Carla Bley? Che cosa ti colpisce nella sua scrittura e quali pensi siano i suoi lavori più interessanti, quelli che più ti appartengono?

«Tanti anni fa, penso nei primi anni del Duemila, stavo cambiando modo di suonare e i brani di Carla Bley mi avevano subito colpito per la loro libertà armonica e la loro apparente mancanza di struttura. Le pause, la scrittura per frammenti, l'armonia che cambia per microvariazioni, la melodicità dei temi unita a una sorta di spigolosità degli stessi, il silenzio che diventa tema, l'ambiguità tonale, tutti elementi che mi affascinano e che fanno parte del mio modo di vivere l'improvvisazione. I lavori della Bley che sento appartenermi di più sono sicuramente quelli degli anni Sessanta e Settanta».

Come hai conosciuto Bruce Ditmas e quali sono le caratteristiche del suo approccio che ti colpiscono di più?

«Ho conosciuto Bruce un paio di anni fa, suonavamo nel quintetto di Arrigo Cappelletti, musicista al quale devo molto. Bruce ha un approccio orchestrale alla batteria, crea degli arrangiamenti istantanei che si inseriscono perfettamente nel mio fraseggiare, ha un senso molto melodico della batteria e anche un drumming molto avvolgente dal punto di vista sonoro, quando suono con lui non percepisco mai la mancanza di altri strumenti».  

Come nasce questo lavoro in duo? 

«Ci siamo subito trovati bene a suonare assieme e la nostra collaborazione è nata molto spontaneamente, anche per quanto riguarda il repertorio la scelta "Carla Bley" è stata quasi immediata e subito condivisa essendo tutti e due grandi estimatori delle composizioni della musicista».

 

Una grande importanza è data dall’aspetto timbrico della tua musica. Con cosa lavori e che tipo di ragionamento porta alla scelta di un suono?

«Sì, è una ricerca che porto avanti da tempo. Ho sempre avuto la necessità di avere un suono riconoscibile, personale, un suono e un tocco che mi identifichino. Gli effetti che uso mi aiutano in questo tipo di ricerca, anche perché il mio approccio all'effetto non è convenzionale, cerco sempre di forzare l'effetto a produrre suoni non previsti con i quali poi sono costretto a interagire in maniera nuova e inconsueta. Suonando poi con le dita e non con il plettro, ho la possibilità di esplorare vari tipi di sonorità a seconda del dito o delle dita che uso, di come colpisco la corda, dove, con che intensità. La somma del tocco, dell'uso degli effetti e del linguaggio jazz misto al fraseggio classico contemporaneo che ho, creano il mio suono finale».  

Che ruolo ha nella tua musica la libera improvvisazione?

«Un ruolo quasi totalizzante, mi ritengo un libero improvvisatore nell' accezione più ampia del termine».  

Quest’estate a Sant’Anna Arresi hai portato il tuo ottetto zappiano, che ha ottenuto grandi consensi. Proseguirà questo progetto?

«Sì, sto lavorando per farlo suonare per la prossima estate e molto probabilmente uscirà il cd del concerto a Sant'Anna Arresi prodotto dalla direzione del festival».  

Parliamo di chitarristi (ma anche di altri musicisti) che ti hanno influenzato…

«Molte influenze le ho avute e le ho tutt'ora da musicisti che non suonano la chitarra, Cecil Taylor, Paul Bley, Paul Motian, Ornette Coleman, Dave Liebman per quanto riguarda i "jazzisti", Gerard Grisey, Steve Reich, Morton Feldman, Tristan Murail, Stockhausen per quanto riguarda il versante "classico", e poi molti pittori, su tutti Rothko e Cezanne».

All’attività artistica abbini anche quella didattica. Che tipo di tendenze registri nei tuoi allievi, quali interessi, quali lacune, quali traiettorie?

«Insegno chitarra jazz al Conservatorio di Venezia, ho tanti allievi e tutti molto bravi, ognuno con le sue caratteristiche e peculiarità specifiche. Per quanto mi riguarda cerco il più possibile di non essere mai un "insegnante" (dal latino "in signo", imprimere il proprio segno all'allievo) ma un "educatore" (dal latino "ex ducere", condurre fuori dall'allievo quello che lo caratterizza), mi piace lavorare maieuticamente con gli allievi facendo in modo che ognuno sviluppi le proprie qualità e attitudini. In questo senso insegno dal mainstream al free, dal bebop all'improvvisazione estemporanea e vedo che i ragazzi sono tutti molto curiosi, attenti e vogliosi di apprendere e suonare. Formare (ed essere) dei musicisti è per me la cosa più importante, ed è anche ciò che cerco di trasmettere ai ragazzi, mentre formare (ed essere) degli strumentisti è, a mio avviso invece, una pecca nel sistema educativo musicale attuale».  

Cosa ascolta Andrea Massaria in queste settimane?

«Sto ascoltando molta musica contemporanea in particolare Hans Abrahamsen e Geoge Lentz, sul versante jazz Steve Coleman e Roscoe Mitchell e poi gli Autechre, Aphex Twin e la musica elettronica dei primi anni Cinquanta».  

Quali sono i tuoi prossimi impegni e progetti?

«Ho tanti concerti con il duo con Bruce e ho questo nuovo trio con Sylvie Courvoiseur al piano e Tom Rainey alla batteria al quale tengo molto, con il quale inizieremo a tenere concerti dalla prossima primavera/estate. C’è poi l’ ottetto Zappa Speech Project di cui parlavamo, con Pasquale Mirra al vibrafono, Giovanni Mancuso al piano, Danilo Gallo al basso, Cristiano Calcagnile e Bruce Ditmas alle batterie, Walter Prati e Patrik Lechner ai live electronics, il duo con Giancarlo Schiaffini al trombone ed effetti e per finire un altro duo, con Rob Mazurek alla tromba».

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