L’insperata riscoperta di una nuova Sonata vivaldiana

Dalla voce del violinista e musicologo Fabrizio Ammetto, il racconto del fortuito riconoscimento in un manoscritto attribuito al compositore sbagliato

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Fabrizio Ammetto
Fabrizio Ammetto

Il catalogo delle composizioni note di Antonio Vivaldi è sterminato. Anche a causa della dispersione di alcuni manoscritti, un certo numero di titoli risulta tuttavia perduto, benché di quando in quando qualcosa ancora riemerge insperatamente.

Una nuova Sonata per violino e continuo in La maggiore è stata riconosciuta come vivaldiana nei mesi scorsi. Autori dell’identificazione sono due violinisti, allievo e maestro nell’Università di Guanajuato (Messico): lo spagnolo Javier Lupiáñez e l’italiano Fabrizio Ammetto. Al prof. Ammetto, fra i più attivi musicologi vivaldiani, abbiamo chiesto di illustrarci la modalità della scoperta.

 

«Durante l’estate scorsa, Javier mi ha sottoposto la riproduzione di un manoscritto settecentesco conservato a Vienna, per via di alcuni dubbi che gli suscitava una Sonata lì contenuta, attribuita a Giuseppe Aldrovandini, compositore bolognese di fine Seicento. Guardando insieme quella musica con attenzione, abbiamo però rilevato – chi l’uno, chi l’altro – una serie di passaggi e di elementi compositivi che ci indirizzano invece verso quella che oggi riteniamo essere la giusta attribuzione della Sonata: una composizione sicuramente vivaldiana. Abbiamo dunque sottoposto le nostre intuizioni e le ragioni stilistiche di sostegno al comitato editoriale dell’Istituto Italiano Antonio Vivaldi, che le ha avallate senza alcuna ombra di dubbio. E un ampio articolo sull’argomento verrà pubblicato sul prossimo numero della rivista Studi vivaldiani».

 

Come si era arrivati all’erronea attribuzione?

«L’errore parte dal copista che produsse quel manoscritto, ricopiando una raccolta miscellanea di 12 brevi sonate d’area bolognese edita qualche decennio prima. Nelle ultime pagine, rimaste vuote, copiò tempo dopo un’ulteriore Sonata molto più ampia e complessa, senza indicarne l’autore. Il catalogo della biblioteca viennese che conserva quel manoscritto ha attribuito meccanicamente la tredicesima Sonata ad Aldrovandini, uno degli autori delle altre composizioni lì presenti, ingannato da una serie di indicazioni e cancellature parziali operate dallo stesso copista, che hanno facilmente indotto nell’errore».

 

Quali sono gli elementi che hanno invece indotto alla nuova attribuzione?

«Sono molteplici, e di differente natura e peso. Il più eclatante – ma per certi versi anche il meno probante – è il fatto che il terzo movimento comincia come una delle sonate autentiche di Vivaldi pervenuteci incomplete: ma è soltanto un primo indizio, sostenuto dal fatto che Vivaldi spesso si autocitava. Ulteriori spunti tematici che concordano con altri brani vivaldiani si ritrovano poi nell’intera Sonata. Alcuni elementi compositivi caratteristici del Prete Rosso risultano tuttavia ancora più forti e convincenti nello spingerci alla identificazione. Ad esempio, in un epoca in cui i compositori tendevano ancora a scrivere in chiave una alterazione in meno di quelle richieste dalla tonalità della composizione, Vivaldi è fra i primi a indicare tutti e tre i diesis per una musica in La Maggiore come questa, una modalità che il copista deve aver pedissequamente rispettato nel suo manoscritto. Ancor più probante è la presenza, in questa Sonata, della tipica fraseologia ternaria usata da Vivaldi, che tende cioè a ripetere le cose tre volte (e non due o quattro, come sono più soliti fare i suoi contemporanei). Ci sono poi le altrettanto tipiche riprese acefale, vale a dire che quando un passo ritorna non lo sentiamo sempre riprodotto dall’inizio, ma riappare spesso senza la “testa” del tema, privo della sua prima battuta. Insomma, tanti elementi (ed altri ancora, tecnici e stilistici, su cui qui non mi soffermo), tutti insufficienti di per sé, ma che nel loro insieme fanno un numero tale di indizi che ci portano con grande sicurezza verso Vivaldi».

 

Questa nuova attribuzione aggiunge qualcosa alla nostra conoscenza di Vivaldi?

«La Sonata in La maggiore si rivela essere tra le più difficili per violino e continuo scritte da Vivaldi, tecnicamente più simile alle pretese di un grande concerto solistico che non di una sonata da camera. Potremmo dirla una “Sonata a guisa di Concerto”, tipologia non molto comune, che il giovane Vivaldi deve aver scritto per sé stesso come biglietto da visita virtuosistico, utilizzabile là dove non avesse avuto la possibilità di presentarsi accompagnato da un’orchestra. La composizione potrebbe infatti collocarsi intorno al 1710-12, epoca in cui l’artista fa ancora molto affidamento alle sue potenzialità come esecutore, più ancora che come autore».

 

Quale sarà ora la sua sorte?

«Le è stato attribuito un numero ufficiale all’interno del catalogo vivaldiano (RV 829), viene stampata dall’editore Ricordi all’interno della collana che pubblica in edizione critica tutte le composizioni di Vivaldi e gode in questi giorni di varie prime esecuzioni pubbliche: il 25 gennaio alla radio spagnola (Radio Clásica) con Javier Lupiáñez, il 27 gennaio a Vicenza con Federico Guglielmo e finalmente il 2 marzo a Venezia (allo Squero della Fondazione Cini, due passi dall’Istituto Vivaldi), sempre con Lupiáñez. Le caratteristiche di tale sonata, come musica di grande effetto, la candidano a diventare un cavallo di battaglia per i violinisti della prossima generazione».

 

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