The Weather Station: ecologismo e sentimenti
Il “meteo pop” della canadese Tamara Lindeman, alias The Weather Station
Il motto sbandierato nella pagina Bandcamp di Tamara Lindeman, alias The Weather Station, recita: «Scrivo canzoni su cose che esistono». I traumi sentimentali, ad esempio: «Abbassa le luci e tira le tende, questa è la fine dell’amore», canta in “Trust”, malinconica ballata che allude a un divorzio.
Ma soprattutto il cambiamento climatico, da quando è attivista schierata al fianco di Fridays for Future. E però, interrogata dal magazine web Stereogum a proposito del significato da attribuire a Ignorance, ha precisato: «Non è una dichiarazione politica, sono solo sensazioni». Nondimeno, proprio nell’episodio d’apertura, “Robber”, tratteggia l’identikit di chi è responsabile della crisi ambientale: “No, il ladro non ti odia, lui ha il permesso, il permesso dalle parole, il permesso dai ringraziamenti, il permesso dalle leggi, il permesso dalle banche, cene su tovaglie immacolate, centri convegni, è stato preparato tutto con estrema attenzione”. Versi sferzanti, porti garbatamente avendo intorno un’orchestrazione rarefatta e raffinata.
Inizia così il quinto album di The Weather Station, progetto su cui dal 2008 concentra le proprie energie la trentaseienne canadese, in tenera età attrice fra cinema e televisione: professione abiurata in età adulta a favore della musica. Resta di quell’esperienza la dimestichezza con il mezzo, espressa nella regia dei video di complemento, nei quali – immersa nella natura – sfoggia un allegorico abito a specchio: “Cercavo d’indossare il mondo come una specie d’indumento”, intona durante “Wear”, elegia intimista dagli accenti cameristici. In quel brano si apprezza la qualità della voce, che ondeggia con grazia fra registro basso e falsetto, evocando nel pathos Beth Gibbons dei Portishead e nella levità Joni Mitchell.
Alla celebre connazionale era stata accostata sovente in passato, allorché dalle produzioni firmate The Weather Station trapelava un profilo da folksinger: canone da cui aveva cominciato a discostarsi nel lavoro precedente, datato 2017. Nell’occasione lo scarto è tuttavia assai più marcato, suggeriscono con solerzia le analogie discografiche fornite dall’ufficio stampa dell’indipendente del Mississippi Fat Possum, per la prima volta sua editrice: Avalon, Tusk e The Colour of Spring, ossia Roxy Music, Fleetwood Mac e Talk Talk.
L’habitat sonoro è situato dunque fra la lucentezza da FM americana tardi anni Settanta e l’“avant-pop” di metà Ottanta, anche se l’approccio rimanda alla sensibilità contemporanea delle colleghe statunitensi Weyes Blood – della quale è per altro amica – e Meghan Remy, che ha allevato l’alter ego U.S. Girls nella stessa Toronto dove Lindeman abita da tempo. Risultante di quei vettori sono armoniose canzoncine dal ritmo disinvolto, “facili” a un ascolto distratto: valga a dimostrarlo la squisita “Parking Lot”, oppure “Tried to Tell You”.
“Mi sento inutile come un albero in un parco cittadino, simbolo immobile di ciò che abbiamo disintegrato” è l’istantanea offerta da quest’ultima, riportandoci al tema conduttore, mentre “Loss” esorta a evitare i negazionismi: “A un certo punto devi vivere come se la verità fosse autentica”.
E quando apre il suo cuore, come accade appunto in “Heart”, dice: “Ci sono molte cose che mi potete chiedere, ma non l’indifferenza, non rivolgetevi a me per il distacco”. Intitolato – ha spiegato l’autrice – al “rifiuto di capire” e al “non voler sapere, né vedere”, Ignorance è un disco accordato sull’attualità, pur ostentando portamento da “classico”. Lo ritroveremo fra i migliori dell’anno a furor di critica: c’è da scommetterci. Godiamoci intanto con lei l’idillio di un tramonto sull’oceano descritto in “Atlantic”.