Swans, il canto dei Cigni
In leaving meaning. rinascono in forma nuova gli Swans, visionario progetto musicale di Michael Gira
Concluso due anni fa – al termine dell’estesa tournée seguita all’album The Glowing Man, datato giugno 2016 – il ciclo avviato nel 2010 con la ricostituzione degli Swans dopo oltre un decennio di animazione sospesa, lo sciamano del sottobosco rock statunitense Michael Gira – ora sessantacinqueenne – ha cominciato a immaginarne un’altra incarnazione.
Essendone fondatore e unico titolare, ha deciso di affidarsi a «un cast di musicisti a rotazione, selezionati sia per la loro musica sia per il carattere individuale, scelti in base a ciò che ritengo si adatti meglio all’atmosfera in cui mi piacerebbe ambientare le canzoni che ho scritto». Per finanziare l’operazione, a marzo ha pubblicato What Is This?, disco in tiratura limitata contenente i provini con voce e chitarra di quasi tutti i brani in questione, investendo il ricavato nelle sedute di registrazione organizzate a Berlino, dov’è stato coadiuvato da Kristof Hahn (superstite dell’esperienza precedente), Larry Mullins e Yoyo Röhm. Su quel canovaccio si sono innestati poi gli interventi di alcuni complici aggiunti, tra i quali spiccano gli australiani Ben Frost e The Necks: questi ultimi, in particolare, hanno conferito il proprio tipico tocco “post jazz” al gospel pagano “The Nub” (“Sono alla deriva nel latte nero che sto bevendo”, canta l’ospite Baby Dee) e all’ipnotica litania da cui prende nome l’intera raccolta.
The Necks, una guida all'ascolto in 10 dischi
È uno dei segnali che definiscono il nuovo corso: più acustico e stilisticamente apolide, per certi versi affine al folk apocalittico degli Angels Of Light, ai quali Gira si dedicò fra il 1998 e il 2009. Danno quella sensazione “Amnesia”, rivisitazione di un testo edito originariamente – con l’asprezza elettrica che caratterizzava allora gli Swans – nell’album del 1992 Love of Life (perciò il verso “La bocca del Presidente è una puttana” non riguarda Trump, benché gli si attagli alla perfezione), e “Annaline”, madrigale in moviola dove l’autore – citando Buddha e San Giovanni della Croce – racconta il rapimento di un’osmosi sessuale, soggetto replicato all’epilogo in “My Phantom Limb” (“Sono dentro le tue particelle, le tue cellule e le tue molecole: ciascuna di esse singolarmente sta urlando”).
La cifra narrativa non si discosta dal consueto flusso di coscienza immaginifico e visionario, zeppo di assonanze e allitterazioni, ad esempio nel blues sepolcrale di “Cathedrals of Heaven”: “Mentre rubi i miei sogni, mentre ghermisci i miei cieli, ti prego aprimi il petto, ti prego accucciati nel mio nido, la mia lingua diventerà nera, assaggiando la tua saliva, bevendo il tuo sudore, dall’incavo del tuo collo”. Oppure nel possente mantra di “The Hanging Man”, il pezzo forte del repertorio: “Guaritore, cura la mia ferita, sono un cane, mangio la luna, guaritore, cura la mia lussuria, riempimi la bocca di ruggine, tienimi la mano, riempi la mia bocca di sabbia”.
Non sempre l’ispirazione sorregge a quel livello il protagonista nell’arco dell’abbondante ora e mezza di svolgimento (appena meno su vinile, per l’omissione dell’incalzante e claustrofobica “Some New Things”), ma leaving meaning è nondimeno opera notevole quanto a portata e densità: capitolo ulteriore nell’affresco del Sogno Americano in negativo dipinto da Michael Gira.